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Cronaca

Giornalista morta per malaria, pm chiede archiviazione per 4 medici: altri 3 verso il processo

Loredana Guida è deceduta il 28 gennaio dopo avere contratto la malattia in Africa. Il magistrato della Procura: "Gravi negligenze da parte del suo dottore, del sanitario della guardia medica e di quello del pronto soccorso che la visitò per primo". Scagionati i colleghi che trattarono il caso nell'ultima fase e due paramedici

Nessuna responsabilità si può attribuire ai due paramedici che intervennero il giorno del suo ingresso al pronto soccorso, nè ai due sanitari che operarono sulla paziente quando le sue condizioni erano ormai critiche.

Al contrario per altri tre medici - il sanitario di base, quello del pronto soccorso che gestì il suo primo accesso e quello della Guardia medica dove si recò prima di aggravarsi - si evidenziano "gravi negligenze e censure". Il pubblico ministero Elenia Manno mette il primo punto fermo nell'indagine sulla morte di Loredana Guida, la giornalista e insegnante di 44 anni deceduta il 28 gennaio per una malaria non diagnosticata.

L'inchiesta, avviata dopo le denunce dei familiari della professionista, assistiti dall'avvocato Daniela Posante, è arrivata al bivio. La Procura, in un primo momento, aveva disposto l'autopsia e iscritto nel registro degli indagati, con l'accusa di omicidio colposo, sette fra medici e paramedici che hanno trattato il caso.

I familiari, in particolare, hanno denunciato che a Loredana - nonostante avesse fatto presente sia al suo medico curante che a quello del pronto soccorso dell'ospedale San Giovanni di Dio, al suo primo accesso, il 15 gennaio, di essere da poco rientrata dall'Africa - non sarebbero stati prescritti esami specifici per la sua febbre alta. La stessa sarebbe stata "parcheggiata" per circa 9 ore al triage fino alla decisione di andare via. Stessa contestazione viene mossa a un sanitario della Guardia medica a cui si rivolse la donna alla quale, nella circostanza, il 19 gennaio, sarebbero state somministrate delle gocce. 

L'indomani, le condizioni si aggravano e torna in ospedale con l'ambulanza: questa volta vengono fatti i test specifici che consentono di diagnosticare la malaria. Viene avviato il trattamento corretto a base di chinino cloridrato ma la malattia è in stato troppo avanzato: la giornalista entra in coma e muore nove giorni dopo nel reparto di rianimazione dell'ospedale agrigentino. La sua scomparsa, oltre a lasciare nello sconforto i familiari, i colleghi e i numerosi amici, ha commosso l'intera città.

Il pm, conclusi gli accertamenti, ritiene che la condotta dei due medici che la curarono al suo secondo arrivo, quando le condizioni erano ormai critiche, fu "scrupolosa" e arriva alla conclusione, uguale, che i due paramedici che si occuparono di lei al suo primo accesso in ospedale non abbiano alcuna responsabilità. 

Per loro è stata chiesta l'archiviazione alla quale il difensore dei familiari, l'avvocato Daniela Posante, potrà presentare un'opposizione. Per gli altri tre, come sottolineato nella richiesta di archiviazione, si profila una richiesta di rinvio a giudizio. In particolare vengono mosse "gravi censure" al medico curante che "pur essendo stato tempestivamente avvisato dalla stessa paziente del suo recente viaggio in Africa, avrebbe sottovalutato la sintomatologia scambiandola per una semplice influenza stagionale e non preoccupandosi affatto (se non dopo il terzo intervento) di prescriverle degli esami specifici". 

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