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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca Favara

"Spaccio di cocaina durante il lockdown", quattro condanne

Pene fino a quasi trenta anni di carcere (con la riduzione di un terzo per il rito) per gli imputati che avrebbero allestito una base operativa in un circolo ricreativo

Quattro condanne per complessivi 29 anni di carcere: sono state inflitte, al termine del processo con rito abbreviato, dal giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Agrigento, Francesco Provenzano, nei confronti dei quattro imputati, coinvolti nell'operazione dei carabinieri che, all'alba del 15 marzo, ha sgominato un presunto giro di spaccio di cocaina che sarebbe stato allestito a Favara attorno a un circolo ricreativo usato come copertura per smerciare lo stupefacente anche durante il lockdown.

Si tratta di: Calogero Salvaggio, 53 anni (6 anni è la pena inflitta); Salvatore Papia, 50 anni (7 anni), del fratello Giuseppe, 63 anni (8 anni) e di Rosario Saieva di 60 anni (8 anni). Il processo si è concluso in una sola udienza. Il pubblico ministero Paola Vetro aveva chiesto condanne più severe per tutti: 12 anni per i fratelli Papia, 11 anni, 1 mese e 10 giorni per Saieva e 9 anni e 4 mesi per Salvaggio. Le condanne, peraltro, sono ridotte di un terzo per effetto del rito.

I difensori (gli avvocati Giuseppe Barba, Salvatore Virgone, Vincenza Gaziano e Daniela Cipolla) hanno replicato chiedendo l'assoluzione dei loro assistiti. L'inchiesta, portata avanti dall'ottobre 2019 al luglio del 2020, periodo del lockdown anti-Covid compreso, ha permesso inoltre anche di accertare che uno degli imputati spacciava anche all'interno della propria abitazione dove si trovava agli arresti domiciliari.

Determinanti sono stati i video realizzati grazie alle telecamere piazzate all’esterno del circolo ricreativo, le intercettazioni e i servizi di osservazione. Dai filmati è emerso che il club aveva orari di apertura e chiusura inusuali, che all’interno del locale mancava una vera e propria attività di somministrazione di cibo e bevande e che vi si avvicendavano persone note per essere dedite allo spaccio, assuntori abituali e tossicodipendenti.

Durante le conversazioni telefoniche, della durata di pochi secondi, per concordare giorno e ora della cessione, talvolta con consegne direttamente al domicilio dei richiedenti, pusher ed acquirenti utilizzavano termini in codice: la droga, cocaina per la maggior parte, veniva chiamata “pacchi di pasta” o “birre”.

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