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Martedì, 23 Aprile 2024
Cronaca Favara

"Ammanchi alle poste per pagare i ricatti sessuali", tre rinvii a giudizio

Si tratta dell’ormai ex impiegato dell'ufficio, Pasquale Di Stefano, 62 anni, che già da tempo aveva cambiato aria trasferendosi in Lombardia, e di una coppia

Il 22 aprile davanti ai giudici della seconda sezione penale: si è conclusa col rinvio a giudizio di tutti gli imputati l'udienza preliminare scaturita dall'inchiesta su una storia di squallidi ricatti sessuali, con protagonista principale la figlia di una donna oggi imputata, che si intreccia con la sparizione di 573 mila euro dai conti correnti dell’ufficio postale di Favara. 

In tre andranno a processo davanti al collegio presieduto da Wilma Angela Mazzara. Si tratta dell’ormai ex impiegato delle Poste, Pasquale Di Stefano, 62 anni, che già da tempo aveva cambiato aria trasferendosi in Lombardia, destinatario anche di un provvedimento di sequestro dei beni, e di una coppia favarese, residente a Catania, ritenuta responsabile di aver estorto, a più riprese, 250 mila euro proprio all’ex impiegato infedele.

All’uomo viene contestata l’accusa di peculato per essersi appropriato indebitamente di una somma di 573 mila euro. La seconda imputazione è la chiave della vicenda: Di Stefano è accusato di atti sessuali con una ragazzina di età inferiore ai 14 anni che avrebbe adescato nella sua auto dopo essersi fotografato i genitali col cellulare. Poi, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe mostrato la foto alla ragazzina con la raccomandazione provocatoria di “farla vedere alla madre”.

La donna, in realtà, con la complicità del compagno (di entrambi si omettono le generalità per tutelare la privacy della ragazzina), da questo episodio avrebbe avuto l’idea per ricattare Di Stefano e “comprare” il suo silenzio con la moglie con una somma molto alta: 250 mila euro, dilazionati nel tempo, che avrebbe sottratto ai clienti. L’inchiesta potrebbe non essere finita con i tre arresti e il sequestro ai danni dell’ex direttore visto che, fra le righe, pare emergere il sospetto del coinvolgimento in altre vicende dal tenore simile.
I difensori (gli avvocati Luigi Troja e Antonietta Pecoraro) non hanno chiesto riti alternativi e il giudice ha disposto il rinvio a giudizio. 

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