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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

"Morì di epatite C per sangue infetto", risarcimento di 1,4 milioni alle figlie

La Corte d'appello conferma la sentenza di primo grado. La vicenda è stata ricostruita dai legali delle eredi, Angelo Farruggia e Annalisa Russello

Le due figlie di un donna agrigentina morta di epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto, saranno risarcite dallo Stato con 700 mila euro a testa.

La ha deciso la Corte di Appello di Palermo che, accogliendo le difese degli avvocati delle figlie, Angelo Farruggia e Annalisa Russello, confermando la sentenza di primo grado, ha affermato che “lo Stato è tenuto a pagare, poiché ha violato il dovere istituzionale di controllo nell’attività  in materia di raccolta, distribuzione e somministrazione di sangue. Controlli, che se effettuati, con probabilità avrebbe impedito il contagio”.

La vicenda è ricostruita in una nota degli stessi legali delle figlie della donna. Nel 1989 la donna, all’età di 47 anni, nel corso del ricovero presso un ospedale di Firenze, è stata sottoposta ad una trasfusione di sangue rivelatosi infetto da virus dell’Epatite C. “Nel corso degli anni – scrive l’avvocato Farruggia - il virus ha compromesso la salute della sfortunata donna, le cui condizioni si sono ulteriormente aggravate a causa della comparsa quale conseguenza del contagio Hcv di un tumore al fegato che, nel  2008, al’età di 66 anni, ne ha determinato il decesso”.

Già con sentenza dell’ottobre 2012, a conclusione del giudizio instaurato dagli eredi contro il Ministero della Salute, il tribunale di Palermo, accogliendo le richieste degli avvocati Farruggia e Russello, aveva condannato il Ministero della Salute, a risarcire la somma complessiva di un milione e quattrocentomila euro,  700.000 euro circa per ognuna delle due giovani figlie, “in quanto ritenuto responsabile – scrive Farruggia - di avere favorito, con l’omissione dei controlli già all’epoca previsti dalla legge in materia di raccolta, distribuzione e somministrazione di sangue, che in grosse quantità veniva importato da paesi come l’Asia e l’Africa, ad alto rischio patogeno, una vera e propria epidemia colposa per la diffusione del virus dell’Epatite C”.

Avverso la sentenza aveva proposto appello il Ministero della Salute, con l’Avvocatura di Stato, sostenendo che – ricostruisce il legale - “in capo allo stesso, in ragione dell’epoca della trasfusione, non poteva riconoscersi alcuna colpa, non risultando in quel periodo disponibili i test volti a controllare che il sangue non fosse affetto dal virus HCV, scoperto solo nel 1989”.

Di diverso avviso è stata la Corte di Appello di Palermo, che accogliendo le difese degli avvocati, confermando la sentenza di primo grado, quindi il risarcimento per 1.400.000 euro complessivi, ha affermato che “lo Stato è tenuto a pagare, poiché ha violato il dovere istituzionale di controllo nell’attività  in materia di raccolta, distribuzione e somministrazione di sangue. Controlli, che se effettuati, con probabilità avrebbe impedito il contagio”.

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