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Cronaca

"Marescialli corrotti da imprenditori", riparte l'udienza preliminare

La difesa sollecita l'acquisizione di alcuni documenti che proverebbero l'inutilizzabilità delle intercettazioni

La difesa sollecita, ancora una volta, l'acquisizione degli atti della cosiddetta "inchiesta madre" per comprendere meglio la portata delle contestazioni e l'utilizzabilità degli atti. Il passaggio successivo potrebbe essere la richiesta di dichiarare inutilizzabili le intercettazioni, sulla base di una recente sentenza della Cassazione a sezioni unite che mette un freno all'uso delle intercettazioni da un fascicolo all'altro.

L'udienza preliminare, dopo due azzeramenti per incompatibilità di altrettanti giudici che avevano già firmato alcuni decreti che disponevano le intercettazioni, riparte davanti al gup Giuseppe Miceli.

Il procedimento è quello che ipotizza una serie di favori, regalie e promesse di posti di lavoro in cambio di informazioni riservate su indagini in corso e sulle istruttorie antimafia nei confronti dell’azienda: il pubblico ministero Alessandra Russo, trasferita nei giorni scorsi alla Procura etnea, ha chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di tre marescialli, all'epoca dei fatti in servizio alla Dia, alla Guardia di Finanza e nei carabinieri e di due imprenditori, accusati di corruzione.

Nell’inchiesta, avviata dalle risultanze di almeno altre tre procedimenti, erano indagati altri imprenditori e sottufficiali la cui posizione è stata stralciata e nei cui confronti è stata disposta l’archiviazione. Sono cadute, per effetto del decorso del tempo, anche altre singole accuse. 

Gli imputati sono Salvatore Trigona, 54 anni, maresciallo aiutante delle Fiamme Gialle, in passato in servizio alla Direzione investigativa antimafia; Francesco Barba, 56 anni, in servizio nella tenenza della Guardia di Finanza di Porto Empodocle; Salvatore Manuello, 62 anni, nel 2013 in servizio alla Compagnia di Licata; Angelo Incorvaia, 56 anni, di Canicattì e Valerio Peritore, 52 anni, di Licata; questi ultimi due sono imprenditori, legali rappresentanti della Omnia Srl, società di Licata che opera nel campo della nettezza urbana.

I due imprenditori, secondo quanto ipotizza la Procura, avrebbero corrotto i tre marescialli avendone in cambio informazioni riservate su indagini in corso e sull'istruttoria relativa alle certificazioni antimafia. I sottufficiali sarebbero stati ricompensati con il pagamento dell'Ici relativa a delle proprietà personali (nel caso di Trigona), con la promessa dell'assunzione del fratello (Barba) e con una consulenza in affari di tipo personale (Manuello). Trigona, sostiene l’accusa, avrebbe ricambiato il favore informando Incorvaia e Peritore “dell’esito e del contenuto delle riunioni in Prefettura del Gruppo interforze che stava valutando la certificazione antimafia della Omnia”.

Lo stesso avrebbe fatto Manuello comunicando al solo Peritore anche “i dati rivelatori del rischio di infiltrazione mafiosa della Omnia”. Barba, invece, avrebbe rivelato notizie riservate su un’indagine della Procura ai due imprenditori che gli avevano promesso l’assunzione del fratello alle dipendenze della ditta.

L'avvocato Gioacchino Genchi, che difende gli imprenditori insieme al collega Giuseppe Barba (gli altri imputati sono assistiti dagli avvocati Daniela Posante, Antonio Ragusa e Angelo Balsamo) ha chiesto al giudice di disporre l'acquisizione, da parte del pm, di tutti gli atti del procedimento "madre".

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