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Il processo di appello / Cattolica Eraclea

Massacrato e ucciso nel suo laboratorio: la difesa dell'imputato dopo la condanna chiede nuove prove

La Corte di assise in primo grado ha inflitto 24 anni di carcere a Gaetano Sciortino, accusato dell'omicidio dell'artigiano Giuseppe Miceli trovato morto a 67 anni nel suo laboratorio nella notte fra il 7 e l'8 dicembre del 2015. Dopo il delitto gli sarebbero stati sottratti dei soldi dalla tasca

La nuova audizione del maresciallo dei carabinieri Liborio Riggi, ex comandante della stazione di Cattolica Eraclea, nonchè della moglie e del figlio dell'imputato: i difensori dell'operaio Gaetano Sciortino, 56 anni, condannato in primo grado a 24 anni di carcere per l'omicidio del marmista Giuseppe Miceli - massacrato nel suo laboratorio nella notte fra il 7 e l'8 dicembre del 2015 - chiedono di riaprire l'istruttoria.

L'imputato sarebbe stato tradito da due prove: un video, dalla qualità non eccelsa, che proverebbe il pedinamento con l'auto nei confronti della vittima nelle ore precedenti l'omicidio, e una scarpa. "Nel luogo dell'omicidio - aveva detto il pm Gloria Andreoli nella requisitoria - è stata trovata un'impronta di una scarpa compatibile con quella recuperata in un dirupo che l'imputato, secondo quanto emerge dalle indagini e dalle intercettazioni, ha cercato di fare sparire". Un altro elemento che ha indirizzato gli inquirenti su Sciortino è stato il presunto furto di alcune viti di trapano che i figli dell'imputato, secondo quanto si sente da una microspia posizionata nell'auto, hanno cercato di disperdere dandogli fuoco.

Sfugge l'esatto movente che, comunque, sarebbe da ricondurre a una rapina. "La vittima - aveva aggiunto il pm - era solita tenere alcune decine di euro in tasca e non aveva nulla quando è stato trovato il cadavere. I cassetti, inoltre, dopo l'omicidio sono stati aperti e l'assassino ha rovistato all'interno".

Il marmista sessantasettenne è stato massacrato con un'acquasantiera di marmo e, parrebbe, sarebbe stato colpito al volto pure con un'autoclave. Nel laboratorio non ci sono tracce biologiche dell'imputato. L'indagine ha puntato su di lui dopo una serie di piste investigative rivelatesi infondate. 

I difensori, gli avvocati Santo Lucia e Giovanna Morello, chiedono adesso di sentire il maresciallo Riggi per meglio precisare le circostanze legate al rinvenimento della scarpa. Su questa richiesta il sostituto procuratore generale Giuseppe Fici non si è opposto come, invece, ha fatto in merito alla richiesta di sentire i due familiari per precisare il contenuto di alcune intercettazioni che provavano un timore da parte dell'imputato di essere scoperto di qualcosa.

I giudici della Corte di assise di appello di Palermo hanno rinviato all'udienza del 6 marzo per la requisitoria e le arringhe difensive. Sulle richieste istruttorie si pronunceranno in seguito.

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