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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Canicattì

"Non diagnosticarono tumore provocando la morte di una donna", chiesti 4 rinvii a giudizio

Una paziente di 69 anni morì a causa di uno shock settico dopo il trasferimento in un'altra struttura. Quattro chirurghi dell'ospedale di Canicattì rischiano il processo

La paziente sarebbe stata operata alla colecisti nonostante un quadro clinico complesso dovuto ad un tumore che non sarebbe stato diagnosticato pur in presenza di un "quadro chiaro" dopo la tac.

L'intervento, peraltro, avrebbe provocato lesioni al fegato mortali per la donna: il pubblico ministero della Procura di Agrigento, Chiara Bisso, ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro chirurghi dell'ospedale Barone Lombardo di Canicattì che operarono Febbronia Cirami, la sessantanovenne morta il 12 marzo dell'anno scorso all'ospedale di Agrigento, dove era stata trasferita in seguito all'aggravarsi delle sue condizioni di salute, per shock settico e disfunzione multiorgano.

Si tratta di Fabrizio Cremona, 35 anni; Antonio Limblici, 32 anni; Alfonso Maurizio Maiorana, 67 anni e Mauro Ettore Zanchi, 59 anni. In un primo momento gli indagati erano 26. Nel registro, sempre per l'ipotesi di reato di omicidio colposo, erano stati iscritti altri medici in servizio pure all'ospedale San Giovanni di Dio ma la Procura ha ritenuto, dopo avere esaminato la consulenza del proprio medico legale Giuseppe Ragazzi, di restringere il cerchio delle responsabilità ai soli chirurghi che l'hanno operata. Per gli altri 22 è stata chiesta l'archiviazione.

Gli altri quattro, invece, compariranno il 16 novembre davanti al gup Stefano Zammuto per l'udienza preliminare. I difensori (gli avvocati Daniela Posante, Roberto Tricoli, Francesco Miceli, Antonella Zanchi e Liborio Paolo Pastorello) potranno chiedere un rito alternativo. In caso contrario sarà il giudice a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio. 

La vicenda scaturisce da una denuncia presentata dai familiari della donna attraverso il loro legale Calogero Meli. La settantenne si è presentata il 21 gennaio dell'anno scorso al pronto soccorso dell'ospedale di Canicattì accusando dei forti dolori addominali. In quella circostanza le sarebbero stati diagnosticati dei calcoli alla cistifellea e fu dimessa dopo avere programmato l'intervento per l'ultimo giorno del mese.

In realtà, dopo un paio di giorni, la donna torna in ospedale perchè accusa - secondo la ricostruzione dei fatti - nuovi dolori. Questa volta viene ricoverata e sottoposta ad accertamenti.

La Tac, secondo quanto denunciato dalla donna, fu svolta solo dopo quattro giorni. Infine, completati altri accertamenti, si procede con l'intervento.

Nei giorni successivi il figlio della donna si sarebbe accorto di una perdita ematica. La paziente, quindi, viene trasferita all'ospedale San Giovanni di Dio. Le condizioni si aggravano e, dopo alcuni giorni di coma, la paziente è morta.

La Procura, adesso, contesta la mancata diagnosi di un tumore, nonostante apparisse chiaro dalla Tac. Circostanza che avrebbe imposto "di valutare prudenzialmente l'opzione chirurgica".

Sarebbero stati omessi, inoltre, degli accertamenti diagnostici finalizzati ad accertare meglio i quadro della malattia oncologica.
"La lettura assolutamente errata degli evidenti segni" del tumore li portò ad operarla di colecistectomia anzichè procedere a un semplice drenaggio.

L'intervento, peraltro, secondo le conclusioni della Procura, fu dannoso perchè, avendo agito "su un campo operatorio compromesso", furono provocate delle lesioni del fegato e del colon aggravando in maniera decisiva la setticemia. 

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