rotate-mobile
Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca Favara

Un circolo ricreativo come copertura e parole in codice per lo smercio di cocaina: ecco i dettagli dell'inchiesta

Sei complessivamente gli indagati, due dei quali rimasti a piede libero "servivano" il Villaggio Mosè. La cautela dei pusher era massima: uno di loro alla vista di una pattuglia dei carabinieri ha ingoiato una dose

Formalmente sarebbe stato solo un normale circolo ricreativo. Veniva però utilizzato - secondo l'accusa - come vera e propria centrale dello spaccio di cocaina. Tutto all'insegna della massima prudenza: raccomandazioni di segretezza con i clienti e uso di un linguaggio criptico al telefono per tentare di sviare le intercettazioni. Cauti a tal punto che, in una occasione, alla vista di una pattuglia dei carabinieri, uno degli indagati ha perfino ingoiato - rischiando anche grosso - una dose di polvere bianca per sfuggire ai controlli.

Comportamenti che però non sono serviti a nulla perché i carabinieri della tenenza di Favara e della compagnia di Agrigento sono riusciti ad identificare i protagonisti di quella che è stata, a Favara, una fiorente attività di spaccio di cocaina e hashish. Sei complessivamente gli indagati, tutti residenti a Favara, che hanno un’età di 62 ai 45 anni. Per quattro, fra cui i due fratelli che gestivano il circolo ricreativo, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Agrigento, Alessandra Vella, su richiesta del sostituto procuratore Paola Vetro, ha firmato altrettante ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari. Misure che sono state eseguite durante la notte dai militari dell’Arma della renenza di Favara e della compagnia di Agrigento, rispettivamente coordinati dal tenente Fabio Armetta e dal capitano Marco La Rovere.

Agli arresti domiciliari sono stati posti: Calogero Salvaggio di 53 anni; Salvatore Papia di 50 anni e il fratello Giuseppe Papia di 63 anni e Rosario Saieva di 60 anni.    

I "gravi indizi di colpevolezza" sono stati acquisiti dai carabinieri grazie a delle videocamere piazzate all’esterno del circolo ricreativo, alle intercettazioni, ai servizi di osservazione e a perquisizioni che hanno anche consentito sequestri di droga e arresti in flagranza.

"Fiumi" di cocaina per le vie di Favara: scatta l'operazione, quattro arresti

Dai filmati è emerso che il club aveva orari di apertura e chiusura inusuali, che all’interno del locale mancava una vera e propria attività di somministrazione di cibo e bevande e che vi si avvicendavano soggetti noti per essere dediti allo spaccio, assuntori abituali e tossicodipendenti. Le attività di videoripresa sono state supportate dai riscontri acquisiti dai militari dell’Arma attraverso perquisizioni nei confronti degli acquirenti. Verifiche che hanno dato sempre riscontro positivo, con sequestro di dosi e denaro.

Durante le conversazioni telefoniche, della durata di pochi secondi, per concordare giorno e ora della cessione, talvolta con consegne direttamente al domicilio dei richiedenti, pusher ed acquirenti utilizzavano termini in codice: la droga, cocaina per la maggior parte, veniva chiamata “pacchi di pasta” o “birre”. Ci sono stati assuntori - tutti giovani, molti dei quali provenienti anche dall'hinterland - però che, durante l’attività investigativa dei carabinieri, si sono traditi e hanno esplicitamente parlato, al telefono, di cocaina. Fra gli indagati c’è stato anche chi - era la fine di luglio dello scorso anno - alla vista di una pattuglia dei carabinieri, in maniera spregiudicata, ha ripreso, con movimento repentino, la dose appena ceduta ad un acquirente e l’ha ingoiata. L’immediata perquisizione effettuata dai militari nella sua abitazione, tuttavia, permise allora di sequestrare cocaina, 220 euro in contanti, ma anche marijuana già confezionata e piantine di “erba”.

L’inchiesta, portata avanti dall’ottobre 2019 al luglio del 2020, periodo del lockdown anti-Covid compreso, ha permesso inoltre anche di evidenziare che uno degli attuali indagati spacciava anche all’interno della propria abitazione dove si trovava agli arresti domiciliari. Il lockdown ha, di fatto, cambiato anche le abitudini anche dei pusher. 

Secondo l'accusa, i due indagati - una coppia di conviventi, lui di 44 anni e lei di 45 anni, - rimasti a piede libero (perché per loro non è stata accolta dal gip la richiesta di misura cautelare) "servivano" di "roba" il quartiere del Villaggio Mosè. 

"L'attività repressiva sul mercato delle sostanze stupefacenti non avrà mai fine, ma è stato per intanto bloccato un punto di raccordo e di smercio - ha spiegato, durante la conferenza stampa, il capitano Marco La Rovere - . Noi comunque ci siamo e anche se le indagini richiedono tempo, si arriva sempre al termine. Il lockdown ha cambiato, inevitabilmente, anche le abitudini degli spacciatori ed è diventato anche più difficile circostanziare le attività di spaccio che non vengono fatte più all'aperto, ai parchetti ad esempio, ma nei privati domicili. I 4 destinatari delle ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari non sono ragazzini buttati per strada che prendono una dose e la vanno a rivendere. Parliamo di gente che sa come muoversi e quindi abbiamo dovuto fare una serie di arrività più elaborate, metodiche, circostanziando molti episodi per dare una concretezza alla richiesta di misura cautelare".

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Un circolo ricreativo come copertura e parole in codice per lo smercio di cocaina: ecco i dettagli dell'inchiesta

AgrigentoNotizie è in caricamento