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Cronaca

Temeva d'aver contratto la malaria, l'inchiesta dovrà chiarire anche i "buchi narrativi"

Loredana Guida, la giornalista-insegnante morta martedì, aveva segnato in un appunto - stando ai racconti dei familiari - il nome del farmaco utilizzato in questi casi: il "Malarone"

Quello che è certo, in un momento in cui tutti usano la cautela che si confà alle vicende in cui interviene la magistratura, è che nella storia di Loredana Guida, 44 anni, uccisa dalla malaria lo scorso 28 gennaio, ci sono quelli che si potrebbero chiamare "buchi narrativi". Non collimano, infatti, i racconti e le versioni ufficiali. E non perché queste non siano vere (ci mancherebbe) ma perché sembrano essere incomplete, rendendo complesso avere certezza di alcuni dettagli centrali.

I familiari presentano esposto in Procura: aperta l'inchiesta

Innanzitutto, la durata della permanenza di Loredana in pronto soccorso, che di fatto l'Asp non ha voluto in alcun modo determinare pubblicamente. Nella nota ufficiale diramata nei giorni scorsi, infatti, si dice che la paziente G. L. entrava al San Giovanni di Dio era registrata in triage alle "ore 11:41, in codice verde, per 'riferito stato influenzale" con l'annotazione che "la paziente riferisce di essere stata in Africa qualche giorno fa'”. Qui c'è una prima sfasatura rispetto al racconto fornito dai familiari, i quali hanno raccontato, nei giorni terribili dell'agonia, che Loredana era entrata in codice "bianco" e si era vista attribuire un codice "verde" dopo aver detto che era stata in Nigeria. Quanto tempo è trascorso tra uno e l'altro? E perché questo eventuale "aggravamento" di priorità? 

La Procura dispone l'autopsia

Ma non è finita. Dice l'Asp che la paziente è stata  "visitata alle ore 15:35"  eseguendo "esami di laboratorio di routine e radiografia del torace che non evidenziavano sostanziali anomalie, fatto salvo un lieve rialzo di un indice ematico aspecifico di flogosi". Traduzione, nel sangue erano presenti i sintomi di una infiammazione. Tutto e nulla. La visita è stata fatta alle ore 15:35. Ma gli esami hanno avuto bisogno di tempo - è nell'ordine delle cose - per essere realizzati e per arrivare al proprio referto.

Quel viaggio in Nigeria con un sogno nel cuore: costruire una scuola

Prosegue la nota: "Dopodiché la paziente sottoscriveva, sul foglio di dimissione, la decisione di rifiutare di proseguire l’approfondimento dell’iter diagnostico". E qui c'è un altro nodo essenziale per accertare potenziali responsabilità in questa vicenda: che cosa significa, materialmente, quel "dopodiché"? Quante ore ha atteso Loredana, con la febbre alta e con i primi malesseri dovuti alla terribile malattia che l'avrebbe consumata a breve, prima di firmare quelle dimissioni volontarie? La stampa ha chiesto più volte all'Azienda di fornire questo dettaglio, invano. Non una questione di poco conto: secondo i familiari la giornalista ed insegnante sarebbe rientrata a casa solo intorno alle 20. Avrebbe quindi atteso complessivamente nove ore prima di "arrendersi" all'attesa del pronto soccorso.

E poi, quali esami si sarebbero dovuti realizzare nella seconda fase? Dato che, come dice l'Azienda, nell'immediato sono state fatte una radiografia e un esame del sangue generico, è stato prospettata a Loredana la natura delle analisi successive? Lei, che temeva di aver contratto la malaria - dicono i familiari -, tanto da aver detto a qualcuno il dubbio e d'aver segnato in un appunto il nome del farmaco utilizzato in questi casi, il "Malarone", ha manifestato questo timore ai medici? 

E loro, prima che firmasse per andar via, le hanno fatto un quadro complessivo dei rischi? Perché se è evidente che una semplice febbre, in una stagione in cui l'influenza ha raggiunto il suo apice, non poteva far presagire tour court una delle forme più pesanti di malaria, la provenienza dall'Africa potrebbe aver innalzato il livello di attenzione.

Morta di malaria a 44 anni dopo una vacanza in Nigeria

Centrale sarà, in tal senso, l'analisi della documentazione oggi non nota e rigorosamente oggetto d'indagine, sia quella ufficiale che quella non ufficiale. Sì perché se oggi Loredana non può più parlare, per lei potranno farlo i messaggi, le foto e quantaltro ha inviato nei giorni precedenti a quando, ormai devastata dalla malattia, è entrata in coma. I racconti, magari le immagini di documenti, prescrizioni mediche, dubbi, paure, sono tutti contenuti nel suo cellulare e nel suo pc. Decisiva potrebbe essere, inoltre, la collaborazione di amici e conoscenti "virtuali" nel fornire, di propria sponte, tutto quanto di loro conoscenza per agevolare le indagini e colmare i "buchi narrativi" di una tragedia.

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