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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

L'operazione antimafia "Xydi", boss al 41bis facevano arrivare ordini all'esterno con dei messaggi

Dall'indagine è emerso che un agente in servizio nel carcere di Agrigento avrebbe consentito all'avvocata, fermata oggi, di portare con se uno smartphone e di usarlo rispondendo alle telefonate ricevute nel corso dell'incontro con Giuseppe Falsone

Diversi capimafia, come il boss ergastolano agrigentino Giuseppe Falsone, sarebbero riusciti a parlare tra loro, a scambiarsi messaggi - nonostante fossero detenuti al carcere duro - e a far arrivare ordini all'esterno. In alcuni casi, secondo le indagini, grazie alla complicità di alcuni agenti di polizia penitenziaria addetti ai controlli dei carcerati al 41 bis, a volte riuscendo, per falle del sistema, a eludere la sorveglianza e a passare informazioni a gesti senza essere intercettati. Emerge dall'inchiesta dei carabinieri del Ros - denominata "Xydi" - che oggi ha portato a 22 fermi. Il ventitreesimo provvedimento - quello a carico del boss Matteo Messina Denaro, capomafia trapanese latitante da 28 anni, è ancora riconosciuto come l'unico a cui spettano le decisioni su investiture o destituzioni dei vertici di Cosa Nostra  - non è stato eseguito.

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In particolare, dall'indagine è emerso che un agente in servizio nel carcere di Agrigento, durante un colloquio telefonico tra il boss ergastolano Giuseppe Falsone, ex capo della mafia agrigentina, e un'avvocata, fermata oggi con l'accusa di mafia, avrebbe consentito alla legale di portare in carcere lo smartphone e di usarlo rispondendo alle telefonate ricevute nel corso dell'incontro con Falsone. Il boss, inoltre, sarebbe riuscito a inviare messaggi all'esterno, perché in alcuni istituti di pena non viene controllata la corrispondenza tra i detenuti al 41 bis e i propri difensori. Sfruttando questo limite nella vigilanza Falsone, attraverso il suo avvocato, sarebbe riuscito a fare uscire dal carcere i messaggi che, in prima battuta, essendo destinati a terzi, erano stati censurati dal magistrato di sorveglianza. L'indagine ha accertato inoltre che boss di Agrigento, Trapani e Gela, tutti detenuti nel carcere di Novara, sfruttando inefficienze nei controlli dialogavano tra loro riuscendo anche a saldare alleanze tra cosche di territori diversi. Durante l'inchiesta, è stata anche intercettata una telefonata di un agente di polzia penitenziaria in servizio ad Agrigento all'avvocata indagata: i due avrebbero parlato di un assistito della legale, detenuto in cella per mafia. L'agente avrebbe  informato la donna che il suo cliente l'indomani sarebbe stato  spostato in aereo in un altro carcere.

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Il ruolo del boss di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, viene fuori - ancora una volta - dall'inchiesta di Dda di Palermo e Ros. Stando a quanto è emerso dalle indagini, vi sarebbe stato il tentativo di alcuni uomini d'onore di esautorare un boss dalla guida del mandamento di Canicattì. Dall'indagine emerge che per di realizzare il loro progetto i mafiosi avevano bisogno del beneplacito di Messina Denaro che continua, dunque, a decidere le sorti e gli equilibri di potere di Cosa nostra pur essendo da anni imprendibile.

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