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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Il blitz antimafia "Xydi", ecco tutte le accuse mosse dalla Dda ai 23 indagati

L'indagine - sviluppata dai carabinieri del Ros - è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo

I 23 indagati dell'inchiesta "Xydi", a vario titolo, sono stati ritenuti - dalla Dda di Palermo - responsabili di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione e altri reati aggravati perché commessi con l'obiettivo di agevolare le associazioni mafiose. L'indagine è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall'aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Gianluca De Leo.  

Mafia, scatta il blitz "Xydi": il Ros esegue 23 fermi: ci sono anche un avvocato, un ispettore e assistente della polizia

Ecco le accuse

Matteo Messina Denaro, Giuseppe Falsone, Giancarlo Buggea, Luigi Boncori, Luigi Carmina, Simone Castello, Calogero Di Caro, Gianfranco Roberto Gaetani, Giuseppe Giuliana, Gaetano Lombardo, Gregorio Lombardo, Antonino Oliveri, Angela Porcello e Giuseppe Sicilia: "per avere, unitamente ad altri associati, fatto parte dell'associazione mafiosa Cosa Nostra e dunque - scrivono dalla Dda - avvalendosi, insieme, della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti (contro l'incolumità individuale, la libertà personale e il patrimonio), per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sè e per gli altri, per intervenire sulle istituzioni e la pubblica amministrazione". 

Quali promotori e organizzatori: 

"Matteo Messina Denaro, della provincia di Trapani e di tutta la Sicilia occidentale, in questo ruolo impartendo - scrive la Dda di Palermo - direttive anche attraverso comunicazioni con uomini d'onore agrigentini e costituendo punto di riferimento mafioso e decisionale in relazione alle attività e agli affari illeciti più importanti gestiti da Cosa Nostra nella provincia di Trapani e in altri luoghi della Sicilia".

"Giuseppe Falsone, della provincia di Agrigento, per essersi occupato, nonostante la restrizione in carcere in regime di 41 bis, di - scrivono i magistrati della Dda - veicolare messaggi ad altri capi mafia detenuti, di consentire a costoro di comunicare con l'esterno della struttura carceraria, di far giungere ai sodali in libertà messaggi o direttive per la riaffermazione del potere di Cosa Nostra sulle altre articolazioni mafiose presenti sul territorio".

"Calogero Di Caro, del mandamento di Canicattì, impartendo direttive ai membri dell'organizzazione - scrive la Dda di Palermo - finalizzate alla risoluzione di vicende di interesse associativo, alla gestione economica degli affari più importanti del mandamento, alla designazione dei capi delle famiglie mafiose, alla riscossione delle cosiddette 'messe a posto', al controllo delle attività produttive, al controllo delle dinamiche criminali comuni facendo leva sulle capacità di intimidazione derivanti dall'appartenenza al sodalizio mafioso, alla composizione di contrasti fra sodali".

"Giancarlo Buggea, delle famiglie mafiose di Canicattì, Ravanusa, Campobello di Licata, occupandosi, insieme a Luigi Boncori e a Giuseppe Giuliana, di garantire - scrive la Dda - il costante coordinamento con gli altri associati, organizzando e partecipando a riunioni riservate con gli altri membri dell'organizzazione mafiosa appartenenti non soltanto al medesimo mandamento ed alla provincia di Agrigento, ma anche a quelle di Palermo, Trapani, Caltanissetta e Catania nonché alle famiglie di Cosa Nostra americana; riunioni queste finalizzate - prosegue la Dda - alla trattazione ed alla risoluzione di vicende di interesse associativo quali: la rituale presentazione tra associati (che egli ripetutamente curava); la raccolta e la custodia di somme di denaro, provento delle attività illecite, da destinare al sostentamento dei sodali detenuti; la pianificazione e gestione delle cosiddette 'messe a posto'; il controllo delle attività produttive; la risoluzione di contrasti tra associati; la strategia da attuare nei rapporti con la stidda. Ed ancora, per avere assicurato ai sodali detenuti (primo tra tutti il capo provincia Giuseppe Falsone) un canale di comunicazione con gli associati in libertà, riservato ed al riparo da possibili investigazioni". 

"Luigi Boncori delle famiglie mafiose di Canicattì, Ravanusa, Campobello di Licata occupandosi, unitamente a Giancarlo Buggea e a Giuseppe Giuliana, di garantire - scrive la Dda - il costante coordinamento con gli altri associati, organizzando e partecipando ad incontri e riunioni riservate con altri membri dell'organizzazione mafiosa finalizzate alla trattazione ed alla risoluzione di vicende di interesse associativo, quali: la rituale presentazione tra associati; la raccolta di soldi, provento delle attività illecite, da destinare al sostentamento dei sodali detenuti; la gestione delle principali dinamiche funzionali al controllo illecito del territorio, la pianificazione e gestione delle cosiddette “messe a posto”; il controllo delle attività produttive; la risoluzione di contrasti tra associati; la strategia da attuare nei rapporti con la stidda. Ed ancora, per avere organizzato una rete di comunicazioni riservata con gli altri sodali Buggea e Giuliana mediante il reperimento e la distribuzione di schede telefoniche intestate a terzi". 

"Giuseppe Giuliana delle famiglie mafiose di Canicattì, Ravanusa, Campobello di Licata occupandosi, unitamente a Luigi Boncori e a Giancarlo Buggea, di garantire - scrive sempre la Dda - il costante coordinamento con gli altri associati, organizzando e partecipando ad incontri e riunioni riservate con altri membri dell'organizzazione mafiosa finalizzate alla trattazione ed alla risoluzione di vicende di interesse associativo, quali: la raccolta di soldi, provento delle attività illecite, da destinare al sostentamento dei sodali detenuti; la gestione le principali dinamiche funzionali al controllo illecito del territorio; la riscossione delle cosiddette 'messe a posto'; il controllo delle attività produttive. Ed ancora, per avere gestito, su incarico del capo mandamento Calogero Di Caro il controllo del lucroso settore economico delle transazioni per la vendita di uva e altri prodotti ortofrutticoli da parte di produttori operanti nei territori delle famiglie di Canicattì, Ravanusa e Campobello di Licata". 

"Giuseppe Sicilia della famiglia mafiosa di Favara, occupandosi di garantire - è stato scritto nel provvedimento di fermo - il costante coordinamento con gli altri associati, organizzando e partecipando ad incontri e riunioni riservate con altri membri dell'organizzazione mafiosa finalizzate alla trattazione ed alla risoluzione di vicende di interesse associativo, quali: la rituale presentazione tra associati; la raccolta di soldi, provento delle attività illecite, da destinare al sostentamento dei sodali detenuti; la gestione le principali dinamiche funzionali al controllo illecito del territorio; la riscossione delle cosiddette 'messe a posto'; il controllo delle attività produttive. Ed ancora per avere garantito la trasmissione di messaggi che sodali detenuti indirizzavano ad altri associati in libertà". 

"Angela Porcello, ponendo in essere le condotte che seguono, garantiva - riporta il provvedimento di fermo della Dda - il costante coordinamento con gli altri associati, promuovendo, organizzando e partecipando ad incontri e riunioni riservate con altri membri dell'organizzazione mafiosa finalizzati alla trattazione ed alla risoluzione delle vicende di interesse mafioso; assicurava all’ergastolano Giuseppe Falsone, detenuto in regime 41 bis, un canale di comunicazione all’esterno del circuito carcerario, innanzitutto consegnando ai destinatari la corrispondenza prima trattenuta e censurata dall’autorità giudiziaria, ma poi da ella ricevuta - proseguono i magistrati della Dda - sotto forma di corrispondenza con il proprio difensore; e, poi, a mezzo dei colloqui telefonici e visivi avuti con il Falsone, trasmettendone le direttive agli associati in libertà, i cui messaggi parimenti veicolava allo stesso Falsone; - offriva piena e incondizionata disponibilità ad altri detenuti in regime di 41 bis, anche appartenenti ad altre articolazioni territoriali, un canale di comunicazione all’esterno del circuito carcerario; - custodiva e gestiva la 'cassa' del mandamento mafioso di Canicattì; - cercava, e in più occasioni otteneva, informazioni su attività di indagine in corso da appartenenti alla polizia giudiziaria, nonché, a sua volta, tentava di indirizzare le indagini della autorità giudiziaria nei confronti di altri associati mafiosi, ma appartenenti a componenti di Cosa Nostra contrapposte a quella cui la stessa faceva capo e diretta dal capo mandamento Lillo Di Caro".

Quali partecipi:

"Simone Castello per avere mantenuto - scrive la Dda - collegamenti con esponenti della provincia mafiosa di Palermo, Agrigento e Catania, altresì partecipando a riunioni dedicate alla trattazione di vicende di interesse dell’associazione quale la pianificazione di una sinergia criminale con esponenti di Cosa Nostra americana per un investimento illecito transazionale nel settore delle carte di credito con copertura illimitata". 

"Gaetano Lombardo per avere mantenuto, quale uomo - è stato scritto nel provvedimento di fermo - di stretta fiducia del capo della famiglia di Ravanusa Luigi Boncori, contatti esponenti di altre famiglie mafiose, partecipando ad incontri riservati finalizzati alla trattazione di vicende di interesse per l’intera associazione attivandosi per preservare la segretezza delle comunicazioni tra gli associati ed eludere le attività di indagine".

"Antonino Oliveri per avere mantenuto, quale uomo - scrivono i magistrati della Dda - di stretta fiducia del capo mandamento di Canicattì Calogero Di Caro, collegamenti con altri associati cui veicolava messaggi da e per conto del Di Caro ed avere contribuito al controllo delle dinamiche economiche e criminali che l’associazione esercitava sul territorio del mandamento". 

"Gregorio Lombardo per essersi occupato - scrive la Dda di Palermo - alla gestione degli interessi e degli affari della famiglia mafiosa di Agrigento, partecipando ad incontri e riunioni riservate con esponenti anche di vertice di altre famiglie mafiose finalizzati alla trattazione di vicende di interesse associativo, quali: la rituale presentazione tra associati, la pianificazione e gestione delle cosiddette “messe a posto”, il controllo delle attività produttive, la strategia da attuare nei rapporti con la Stidda".

"Luigi Carmina per avere assicurato, - è stato scritto nel provvedimento di fermo - all’interno della famiglia mafiosa di Ravanusa, collegamenti con gli altri associati, partecipando a incontri e riunioni finalizzate alla trattazione e alla risoluzione di questioni di interesse dell’associazione mafiosa, quali la composizione di contrasti tra sodali".

"Gianfranco Roberto Gaetani per avere - scrivono i magistrati -  assicurato, all’interno della famiglia mafiosa di Canicattì, collegamenti con gli altri associati, veicolando messaggi da e per conto del capo del mandamento di Canicattì Calogero Di Caro e partecipando ad incontri e riunioni finalizzate alla trattazione e alla risoluzione di questioni di interesse dell’associazione mafiosa, quali la composizione di contrasti tra sodali".

Angela Porcello "perché - viene riportato nel provvedimento di fermo - consentiva a Giuseppe Falsone, detenuto e sottoposto alle restrizioni del 41 bis di comunicare con altri in elusione delle prescrizioni imposte. In Agrigento e Canicattì il 19 febbraio 2018".

Antonio Gallea, Santo Rinallo, Antonino Chiazza, Pietro Fazio, Diego Cigna "per aver fatto parte - scrivono i magistrati della Dda - dell’associazione per delinquere di stampo mafioso denominata Stidda avvalendosi, insieme, della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva, per commettere delitti per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri. In particolare: A) quali promotori e organizzatori: Antonino Gallea, Santo Rinallo, e Antonino Chiazza per aver - prosegue la Dda - organizzato l’associazione, adottato le strategie per imporsi nel settore delle mediazioni agricole, tra cui la programmazione e l’esecuzione di azioni violente e minacciose in danno di imprenditori e mediatori; B) quali partecipi: Pietro Fazio e Diego Cigna per aver mantenuto, attraverso il continuo scambio di comunicazioni, un costante collegamento tra loro ed i vertici dell’associazione, partecipando ad incontri finalizzati a trattare questioni di interesse dell’associazione, partecipando all’acquisizione in modo diretto o indiretto delle provvigioni spettanti ai mediatori tra produttori e commercianti agricoli, garantendo disponibilità per azioni violente e minacciose nell’interesse del sodalizio".

Santo Rinallo, Antonino Chiazza e Pietro Fazio "perché, in concorso tra loro, - scrive la Dda - mediante violenza e minaccia (consistita nel prospettare la cogente necessità del versamento di somme di denaro da destinare al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze dell’organizzazione mafiosa denominata Stidda), compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere (omissis) a consegnare loro la metà dei guadagni percepiti quale mediatore agricolo per l’anno 2020, e a procurare così per sé e per altri un ingiusto profitto con altrui danno. In Canicattì dal marzo 2020 al gennaio 2021".

Santo Rinallo, Antonino Chiazza e Pietro Fazio "perché, in concorso tra loro, - è stato scritto sempre nel provvedimento di fermo - mediante violenza e minaccia (consistita nel prospettare la cogente necessità del versamento di somme di denaro da destinare al soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze dell’organizzazione mafiosa denominata Stidda), compivano atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere (omissis) a consegnare loro parte dei guadagni percepiti quale mediatore agricolo per l’anno 2020, e a procurare così per sé e per altri un ingiusto profitto con altrui danno. In Canicattì dal marzo 2020 al gennaio 2021". 

Antonino Chiazza "perché, con più atti esecutivi - scrive la Dda - del medesimo disegno criminoso, sottoposto in data 18.9.2018 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata residua di anni 3, mesi 3 (con decreto nr. 55/2018), non osservava le prescrizioni impostegli, e segnatamente si associava abitualmente a persone già condannate per 416 bis. In Canicattì ed altre località dal gennaio 2020 sino al gennaio 2021".

Calogero Paceco "perché si poneva - scrive la Dda - a disposizione dell’associazione per delinquere di stampo mafioso c.d. Stidda, senza prendere parte alla stessa, procurando (o promettendo di procurare) armi, accettando di svolgere l’attività di mediatore agricolo per conto e nell’interesse dell’associazione medesima, con la quale condivideva i relativi profitti. In Canicattì ed altre località della provincia di Agrigento sino alla data odierna". 

Giuseppe Pirrera "perché, con più azioni esecutive - scrivono i magistrati - di un medesimo disegno criminoso aiutava Giancarlo Buggea ed emissari di Cosa Nostra americana ad eludere le investigazioni dell’autorità, svolgendo il ruolo di intermediario tra loro, sia veicolando messaggi criptici dall’uno gli altri, sia agendo al fine di consentire la realizzazione di riunioni cui essi prendevano parte all’interno dei locali del suo esercizio commerciale".

Filippo Pitruzzella "per avere messo a disposizione - scrive la Dda nel provvedimento di fermo - dell’associazione per delinquere di stampo mafioso, senza prendere parte alla stessa, le proprie funzioni di ispettore del commissariato di Canicattì, veicolando reiteratamente a Buggea e a Porcello, informazioni segrete su attività investigative in corso, in particolare su quelle potenzialmente pregiudizievoli nei loro confronti o comunque relative all’associazione mafiosa agrigentina, redigendo altresì . proseguono i magistrati - annotazioni di servizio, su sollecitazione di Porcello finalizzate all’avvio di indagini nei confronti di esponenti mafiosi, o soggetti ad essi contigui, antagonisti rispetto a Buggea. Per essersi, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella propria qualità di ispettore della polizia di Stato in servizio al commissariato di Canicattì, abusivamente introdotto nel sistema informatico relativo alla banca dati “S.D.I.”, protetto da misure di sicurezza, per finalità diverse da quelle per le quali era abilitato e comunque estranee alla sua funzione svolta all’interno del commissariato".

Giuseppe D'Andrea "perché, con più condotte - scrivono i magistrati della Dda nel provvedimento di fermo - in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, si introduceva abusivamente in un sistema informatico protetto da misure di sicurezza (sistema SDI, banca dati nazionale per le forze dell’ordine) per acquisire notizie, nonchè, con il concorso di altro pubblico ufficiale ancora non compiutamente identificato, sull’imprenditore (omissis). Fatti commessi nella qualità di pubblico ufficiale, e segnatamente quale assistente capo in servizio al commissariato di Canicattì. Perché, in concorso con pubblici ufficiali allo stato non compiutamente identificati, - prosegue il provvedimento di fermo - violando i doveri inerenti alla sua funzione di assistente capo della polizia di Stato, o comunque abusando di dette qualità, rivelava notizie d’ufficio, che dovevano rimanere segrete, ai pregiudicati mafiosi. Perché, in concorso con altri pubblici ufficiali allo stato non compiutamente identificati, per procurare a se ed altri un indebito profitto patrimoniale (consistente nella revoca di un provvedimento di sospensione di licenza commerciale a lui riconducibile), si avvaleva illegittimamente di notizie d’ufficio le quali debbono rimanere segrete". 

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