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Trinacria selvaggia

Trinacria selvaggia

A cura di Antonio Vanadia

Lampedusa: un quadro con una barca, un pescatore e un leviatano

Agosto 1970. Lampedusa. A mezzo miglio da Punta Sottile un pescatore su una barca a remi aveva finalmente dato fondo all'ancora per pescare. Era calma piatta quel giorno, un paio di berte maggiori volavano veloci e sfioravano la superficie con le affilate punte delle loro ali, un sonnolento gabbiano reale era posato sull'azzurra pergamena del mare

Agosto 1970. Lampedusa. A mezzo miglio da Punta Sottile un pescatore su una barca a remi aveva finalmente dato fondo all'ancora per pescare. Era calma piatta quel giorno, un paio di berte maggiori volavano veloci e sfioravano la superficie con le affilate punte delle loro ali, un sonnolento gabbiano reale era posato sull'azzurra pergamena del mare.

Quel fondale prometteva, la barca si era assestata bene, l'ancora aveva fatto presa su un fondo roccioso circondato da chiazze di sabbia candida e opalescente. Quella mattina il fondo del mare ipnotizzava chiunque si fosse attardato ad ammirarlo, i raggi del sole come lance di luce lo penetravano illuminandolo e facendolo splendere con bagliori accecanti.

Il pescatore aveva calcato sul canuto capo un consunto basco blu sul quale brillavano squame rinsecchite, le sue dita erano solcate dai segni indelebili dei troppi anni passati a frizionare la lenza con le mani, a bordo c'erano anche i suoi figli che lesti uscirono una cassetta di alacce da usare per esca.

Il sole dardeggiava e cuoceva il cervello nella teca cranica. Si innescarono gli ami,  le lenze in acqua, il piombo rapidamente portava le esche verso il fondo e durante la veloce discesa boghe, menole e suri inseguivano i pezzi di alaccia innescati.

Ecco il momento era giunto, le esche erano state ingoiate da grossi pesci che violentemente e a scatti tiravano la lenza. Grande fermento a bordo, si tiravano su le lenze. Da  una profondità di 40 metri si intravedeva il pesce che salendo rifletteva bagliori metallici. Un grosso dentice e un sarago pizzuto finirono, dopo essere stati slamati, sul paiolato con gli opercoli sanguinanti e le code che martellavano il legno.

Tutto ad un tratto, improvvisamente, un formidabile colpo scuote la barca. Qualcosa di veloce ed estremamente pesante aveva impattato la chiglia nella parte centrale e contemporaneamente una enorme coda batteva la superficie dell'acqua sollevando fragorosamente colonne di spuma.

A bordo tutti sbiancarono in volto e capirono che erano sotto attacco da parte di un enorme squalo. Avvenne qualcosa di agghiacciante, il fasciame della barca iniziò a scricchiolare sotto la morsa delle fauci, poi ad un tratto tutto cessò di colpo.

Il leviatano era andato via. I pescatori traumatizzati furono soccorsi e la loro barca trainata a riva fu messa in secca. Sul fasciame conficcati e spezzati luccicavano due enormi denti con i margini seghettati, denti di uno squalo bianco di almeno 5 metri.

E' una storia assolutamente vera occorsa ad un nostro caro amico, un pescatore lampedusano che adesso non è più. Si chiamava Nino Roccia e questo quadro fu realizzato da lui subito dopo l'attacco. Lo teneva esposto in salotto a eterna memoria di un incontro particolare.

Lampedusa: un quadro con una barca, un pescatore e un leviatano

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