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Psicologia della Notizia

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A cura di Florinda Bruccoleri

Guarire. Da cosa? Le terapie riparative

La verità forse è che l'omosessualità è un problema per la famiglia, per la società, che non riesce a fare i conti con qualcosa considerato anormale, fuori da ogni naturale concezione, fuori da qualsiasi inquadramento legittimo e che per questo spinge indirettamente la persona verso la ricerca di una soluzione, verso una terapia che possa ripristinare ciò che sembra essersi guastato

In questi giorni il presidente americano Obama, in un discorso ufficiale, ha dichiarato il suo sostegno a favore di una petizione che denuncia il ricorso alle cosiddette “terapie riparative” dell’omosessualità.
Cosa sono le terapie riparative?
Le terapie riparative, quelle verso cui Obama si è tenacemente e contrariamente impegnato, sono appunto quelle terapie mediche o psicologiche dette anche di “conversione” o “terapie di riorientamento sessuale” che mirano in poche parole a riportare una persona da omosessuale a eterosessuale attraverso percorsi volti alla modificazione dell’orientamento sessuale di quei pazienti che non accettano la propria omosessualità.
Esiste ancora oggi la convinzione (errata) di dover “curare” questo disorientamento, di dover riportare sulla retta via coloro che sembrano confusi, smarriti o considerati persino malati.

Ciò che spesso non si sa è che tutto questo non è da patologizzare tanto più se persino l’American Psychological Association ha definito l’omosessualità una “variante naturale normale e positiva della sessualità umana” e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha parlato di una “variante naturale del comportamento umano”.
Ma come può esistere cura, quindi, per l’omosessualità se questa non è considerata una malattia?

Non esistono, infatti, evidenze scientifiche che provino l’efficacia di un tale trattamento. Anzi, esistono studi clinici che mettono in evidenza piuttosto i rischi potenziali di un tale intervento/ambizione: depressione, ansia, comportamento auto-distruttivo, rinforzo di quel senso di odio per se stesso che il paziente omosessuale può già provare.
Come se l’orientamento sessuale fosse poi qualcosa che può rompersi e che pertanto richiede un intervento di riparazione!

La verità forse è che l’omosessualità è un problema per la famiglia, per la società, che non riesce a fare i conti con qualcosa considerato anormale, fuori da ogni naturale concezione, fuori da qualsiasi inquadramento legittimo e che per questo spinge indirettamente la persona verso la ricerca di una soluzione, verso una terapia che possa ripristinare ciò che sembra essersi guastato.
Ecco così che al terapeuta viene affidato il compito/speranza/illusione di dover aiutare qualcuno a superare la sua omosessualità. Nessun terapeuta o medico dovrebbe accogliere tale richiesta e dovrebbe essere consapevole della sua inefficacia clinica. Ma purtroppo l’uso del condizionale è voluto dato che ancora oggi esistono professionisti della salute mentale (se così possono essere definiti) che accettano e credono di riparare questo disagio ritenendo l’omosessualità moralmente sbagliata, inaccettabile.

Ciò che invece andrebbe fatto e sarebbe funzionale ad entrambi è capire insieme al paziente le ragioni per cui egli eventualmente non si accetta ed accompagnarlo verso una serena approvazione del proprio orientamento sessuale integrandolo nella propria personalità, aiutandolo a sviluppare una immagine positiva di sé attraverso anche il superamento di quei pregiudizi omofobi di cui oggi purtroppo la società appare piena.
Del resto non è un caso se persino Freud affermava agli inizio del ‘900 che: «l'omosessualità di sicuro non è vantaggiosa ma non c'è niente di cui vergognarsi, nessun vizio, nessuna depravazione, non può essere classificata come una malattia».

Dott.ssa Florinda Bruccoleri Psicologa,
Psicoterapeuta analista transazionale,
Psicooncologa ed esperta in psicologia forense.
Sito web: www.florindabruccoleri.it

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