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Venerdì, 19 Aprile 2024
Psicologia della Notizia

Psicologia della Notizia

A cura di Florinda Bruccoleri

Curarsi con gli psicofarmaci

Erroneamente c’è frequentemente la tendenza a considerare gli psicofarmaci come delle pillole magiche che accelerano il processo di “guarigione” riuscendo a restituire alla persona quell’equilibrio invece alterato

“Non so perché è incominciato, so che alternavo momenti di tristezza assoluta ad altri in cui il cuore mi batteva all’impazzata e uscire era una impresa sovraumana. E così ho deciso di rivolgermi al medico, implorandolo di darmi qualcosa, qualsiasi cosa pur di uscirne fuori”.

Si comincia con mezza pillola la prima settimana, per passare poi ad una intera dopo otto giorni e in una quindicina di giorni i principi attivi dovrebbero cominciare a fare effetto, l’incubo dovrebbe cominciare ad attutirsi. Un po’ di fluoxetina, un pizzico di citalopram, una spolverata di paroxetina e i neurotrasmettitori sembrano riprendere a funzionare. Sono queste le sostanze attive più diffuse per la cura della depressione e sono in tanti a scegliere la strada della farmacologia.

Secondo l’Aifa, l’Agenzia del Farmaco, l’acquisto degli antidepressivi in Italia è aumentato  dal 2004 del 4,5% all’anno. A richiederli sono soprattutto le donne che, secondo le statistiche, soffrono di depressione più degli uomini.

È indispensabile, però, fare una precisazione. Bisogna tenere conto del fatto che non esiste UNA depressione, ma esistono vari tipi di disagio. Una piccola parte ha origine biologica e allora si può parlare di depressione bipolare (la più grave) per la quale risulta necessaria l’assunzione di una adeguata e monitorata terapia farmacologica. L’altra parte, invece, la più diffusa, ha origine psicologica e non sempre è così necessario ricorrere ai farmaci per come spesso si pensa.

Sì, perché erroneamente c’è frequentemente la tendenza a considerare gli psicofarmaci come delle pillole magiche che accelerano il processo di “guarigione” riuscendo a restituire alla persona quell’equilibrio invece alterato e a riportarla alla normalità, a quello che era prima della patologia.

Quindi, per prima cosa, bisogna capire cosa realmente succede quando si dice “sono depresso”. Attenzione a non confondere la malinconia con la depressione. Perché i momenti di malinconia, di tristezza, di voglia di far niente capitano a tutti e non sono da considerare patologici. Ciò che fa la differenza è la durata e l’intensità dei sintomi. Più di quattro settimane di umore nero, un distacco profondo dagli altri, una perdita di piacere intensa per le cose della vita: questa probabilmente potrebbe essere definita depressione. Ed in molti casi questi sintomi sono scatenati da eventi traumatici come per esempio un lutto o una separazione. A tutto ciò si associa quel costante senso di colpa per l’incapacità ad uscirne, per quella difficoltà a reagire che spesso gli altri richiedono. Ma la persona depressa vorrebbe allontanare quelle sensazioni così opprimenti e i pensieri che vivere è inutile. Vorrebbe, ma non ce la fa.

Così, oltre alla chimica della depressione, esiste anche una strada alternativa: un percorso di interiorizzazione, di riflessione su di sé, sul mondo, sugli eventi, che rappresenta un investimento sulla propria maturazione, una opportunità di crescita.

Gli studi “evidence based”, cioè quelli basati sul risultato, dimostrano che la risoluzione della depressione è molto più rapida con l’aiuto di un buon terapeuta dove il primo passo da fare è rompere il circolo vizioso dei pensieri negativi, quelli con cui si continua a dirsi “sono incapace, non guarirò mai, etc.”.

Con questo articolo non voglio dire che gli psicofarmaci non sono utili, perché in determinate situazioni sono indispensabili, fondamentali. Bisognerebbe solamente comprendere che non sono l’unica strada sicura e  certa per affrontare un disagio. Bisogna conoscere, avere le giuste informazioni e la giusta guida perché usato senza giusti criteri lo psicofarmaco non risolve i problemi ma ne allevia i sintomi, sedandoli, tenendoli sullo sfondo, ma sempre lì pronte a riesplodere. Senza un adeguato supporto gli psicofarmaci non solo rischiano di non curare, ma addirittura possono contribuire al prolungamento del disagio, di quella sofferenza che non va via con l’assunzione di una pillola ma con la sua elaborazione. 

(Nell’articolo sono presenti riferimenti tratti dal mensile “per Me”, Marzo 2004) 

Dott.ssa Florinda Bruccoleri
Psicologa, Psicoterapeuta analista transazionale,
Psiconcologa ed esperta in psicologia forense.
Sito web: www.florindabruccoleri.it

Curarsi con gli psicofarmaci

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