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“Quel posto è mio!”, morire a Licata per un posto in chiesa

I giudici della Corte di Assise di Girgenti, sentiti i molti testimoni e considerando la giovane età dell'omicida, con sentenza del primo luglio 1864 lo condannarono a sette anni di prigione. Ma costui era ormai latitante

La domenica dell’Epifania del 1862 il contadino Francesco (con un cognome indicato ma poco leggibile nella sentenza) e il diciassettenne Carmelo Bonfissuto sono da poco entrati nella chiesa Madre di Licata ed entrambi sono in cerca di un posto libero. Sono arrivati in ritardo e la ricerca sembra vana, fino a quando ne  avvistano uno  in un banco.

Carmelo è più svelto e raggiunge proprio un attimo prima di Francesco la panca, (stando a quanto ci dice  la sentenza numero 89 della Corte d’Assise di Girgenti in Archivio di Stato di Agrigento, inventario 10 fascicolo 1).

Ma  Francesco lo raggiunge quando già Carmelo si era seduto. “Susiti! Il posto è mio. L’ho visto prima io!” gli ordina. Ma Carmelo lo allontana con forza: “Vatinni. Prima ca finisci brutta”. La lite finisce col disturbare i fedeli e col richiamare l’attenzione dello stesso prete che celebrava e che grida verso i due: “Silenzio, nella casa di Dio siete”.
 
La faccenda degenera talmente che – attesta  la sentenza – i due litiganti “cominciarono a urtarsi” ed è necessario che “per farli accuitare" (acquietare n.d.r.) un terzo si frapponga, riuscendo a quest’ultimo acquietarli con uno schiaffo dato a ciascuno: dovette trattarsi probabilmente di una “persona di rispetto” che aveva evidentemente autorità per intervenire in tal modo e così platealmente.

Ma la faccenda del posto conteso andò ben oltre. Infatti, continua la sentenza, “terminata la messa…sulla porta della chiesa erasi portati i due litiganti" che ripresero l’animata discussione sul diritto ad occupare quel posto. L’alterco divenne sempre più violento e dinanzi ai fedeli che ancora sostavano dinanzi alla chiesa e inutilmente cercavano di riportare alla ragione i due giovani. 

Improvvisamente scoppia la tragedia: Carmelo, “impugnando un coltello, lo dirige contro Francesco, che irroga due ferite, una nella parte posteriore dell’inguine sinistro penetrando in cavità e l’altra nel terzo superiore della coscia medesima…l’offeso quaranta giorni dopo moriva”.

I giudici della Corte di Assise di Girgenti, sentiti i molti testimoni e considerando la giovane età dell’omicida, con sentenza del primo luglio 1864 lo condannarono a sette anni di prigione. Ma costui era ormai latitante.
 
Elio Di Bella (Agrigentoierieoggi)

“Quel posto è mio!”, morire a Licata per un posto in chiesa

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