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La mafia delle balie

Dopo un lungo e complesso dibattimento, i giudici di Girgenti condannarono diverse balie a nove mesi di reclusione e alla multa di lire trecento in quanto colpevoli di truffa continuata di somme imprecisate e per un periodo di tempo imprecisato in danno dell’amministrazione provinciale

Il 14 febbraio del 1905 la sala delle udienze del Tribunale di Girgenti era affollata come non mai di giovani donne. Ben quaranta erano alla sbarra. Crediamo che mai in provincia si era udito che si sia mai costituita una così cospicua associazione a delinquere interamente costituita da donne. 
Il fatto, quindi, faceva sensazione. 

Cosa poteva aver messo insieme quaranta signore che in gran parte non avevano ancora compiuto trent’anni? Si sapeva che erano tutte native o residenti a Canicattì. Apparivano semplici, modeste ma dall’aspetto florido. Quando i tre giudici del regio tribunale civile e penale di Girgenti, gli avvocati Giacomo Cordova, Vincenzo Malartì, Carmelo Sinatra entrarono in aula, il vocio femminile si spense immediatamente e anche il roseo volto delle sciagurate scolorì rapidamente. Era evidente che non avevano mai varcato l’aula di un tribunale e rimasero persino intimidite dalla toga dei giudici e dal loro aspetto severo. Non erano, infatti, aduse a quelle cerimonie. Fino a pochi giorni prima non avevano che una principale occupazione: erano balie. Cosa ci può essere di più tenero e semplice e scontatamente materno di una balia ? Aver cura, allattare i neonati, fasciarli, dondolarli, cantare nenie: questo tutti noi pensiamo sia il mondo di una balia del primo Novecento. Non ci aspetteremmo altro. E invece… anche le balie possono trasformare la loro attività in una truffa ai danni dello Stato.

Scrissero i giudici agrigentini nella loro sentenza, ancora oggi conservata presso l’archivio di Stato di Agrigento (sentenza n. 127 del 14/2/1905, inventario 9, fascicolo 22): “Con verbale del 20 maggio scorso anno (1904) la pubblica sicurezza denunziava all’autorità giudiziaria la scoperta di una losca speculazione che d’alcuni anni si esercitava dalle balie di Canicattì a danno dell’amministrazione provinciale di Girgenti. Si assodò che alcune donne ora a sole, ora colla complicità di altre, ritiravano da Naro o da qualche altro ospizio (n.d.r orfanotrofio) della provincia i proietti (n.d.r. i bambini abbandonati), ricevendo gli emolumenti fissi di lire 2,50, quindi, tolto con cura dal collo di essi il laccetto, fermato mercè bollo di piombo portante il numero di matricola, riesponevano i bambini (n.d.r. senza farsi vedere li lasciavano gli stessi bambini, cioè, in un’altra ruota di un altro orfanotrofio della provincia), ritirandoli esse stesse od altre: e percependo così, per lo stesso esposto, cui adattavano al collo ora l’uno, ora l’altro laccetto…, gli emolumenti fissi e mensili che la Provincia pagava  per baliato“. Qui devi dire che vuoi spiegare meglio la faccenda, altrimenti sembra una ripetizione.

Un meccanismo piuttosto complesso ma che evidentemente funzionò per molto tempo: quando un bambino veniva abbandonato nella ruota dell’orfanotrofio, le suore ne davano comunicazione alle autorità provinciali, che lo riconoscevano come orfano e quindi ponevano attorno al collo del neonato un laccetto con un bollo di piombo dell’amministrazione; si trattava di un rudimentale collare che serviva a distinguere un bambino legittimo da uno di genitori sconosciuti. L’amministrazione provinciale affidava il cosiddetto proietto (il bambino abbandonato) ad una balia di Canicattì per l’allattamento e alla balia venivano corrisposte lire 2,50 per il servizio di “baliato” per il quale ogni anno la Provincia destinava un cospicuo capitolo di spesa. Con furbizia, però, le balie di Canicattì della nostra storia,a cui l’amministrazione provinciale affidava il servizio, sfilavano dal collo il laccetto e qualche giorno dopo furtivamente conducevano lo stesso bambino,  privo del laccetto, presso un altro orfanotrofio. Anche qui il neonato veniva accolto dalle suore e riconosciuto  come proietto e quindi veniva (di nuovo) fornito di laccetto dall’amministrazione provinciale e affidato (nuovamente) alle stesse balie di Canicattì che percepivano così per lo stesso bambino, più volte, l’emolumento mensile previsto.

Dopo avere girato per alcuni orfanotrofi il bambino veniva poi riconsegnato alle suore dell’orfanotrofio d’origine. La mancanza di adeguati controlli e la complicità di dipendenti comunali che non ritiravano i laccetti e delle suore che non registravano il via vai di bambini da allattare favoriva la speculazione.

La sentenza infatti sottolinea: “La Pubblica Sicurezza denunziò quali autrici di tali speculazioni le 40 persone oggi portate al giudizio del Tribunale, basando l’accusa sui risultati delle loro indagini o meglio confidenze segrete, sulle rispettive confessioni, sulle chiamate di correo e sul rinvenimento di laccetti con piombo in casa di alcune di loro, della presenza dei quali non si seppe dare spiegazione; ma non si è curato richiamare dal Comune di Canicattì, e dagli altri comuni sospetti, come si è praticato per Naro, onde dal confronto, o con l’invito simultaneo di tutte le balie per assodare meglio e nei riguardi di tutte mercè la identificazione degli esposti, la rispettiva parte di responsabilità”.


Dopo un lungo e complesso dibattimento, i giudici di Girgenti condannarono diverse balie a nove mesi di reclusione e alla multa di lire trecento in quanto colpevoli di truffa continuata di somme imprecisate e per un periodo di tempo imprecisato in danno dell’amministrazione provinciale.
 
Elio Di Bella

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