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Venerdì, 29 Marzo 2024

“Viva la Misericordia di Dio”. E il soldato sparò sulla folla

Tutto cominciò quando il Sindaco di Racalmuto, l’avvocato Gioachino Savatteri, ordinò ai muratori di togliere le croci che formavano il luogo detto il Calvario e di custodirle nella Chiesa della Madonna del Monte

Aprile 1881 la gente di Racalmuto difende con la vita le Croci del Calvario. L’esercito regio spara sulla folla.
 
Comprese allora come doveva sentirsi Giuda quando gli diedero i trenta denari. A lui diedero trenta lire.  Pure per lui una questione di croci da piantare. Erano quelle 30 lire la gratifica per avere sparato contro la gente di Racalmuto. Aveva fatto solo il suo dovere, il giovane fante Serra Pasquale. Lo sapeva bene e continuava a ripeterselo, ma non trovava pace. Cosa poteva fare lui ? Era solo un soldato del Re. Gli dicevano di sparare e lui doveva sparare e basta! Era venuto da Roma persino il deputato Filì per complimentarsi. Ma complimentarsi di cosa ? Di avere sparato contro la gente che gridava “ Viva la misericordia di Dio ” ?
Sparare doveva, semmai, pensava, contro quella canaglia di Russo Giuseppe, Delegato di Pubblica Sicurezza, che aizzò la folla rispondendo: “ Io sono il vero Iddio”. Perché fu allora che la gente si scatenò e cominciò a tirare sassi contro i soldati e le guardie e ci furono i primi feriti. Ma per quel giorno finì lì.

Non ci poteva credere, il povero fante, che tutto era cominciato per quelle tre Croci. Non ci poteva credere che c’era gente ancora capace di una tale devozione. Ma era in Sicilia e poteva andare così.

Tutto cominciò quando il Sindaco di Racalmuto, l’avvocato Gioachino Savatteri, ordinò ai muratori di togliere le croci che formavano il luogo detto il Calvario e di custodirle nella Chiesa della Madonna del Monte. Proprio da lì, cioè per l’antica collina del Calvario, doveva passare la strada che portava dal paese alla stazione dei treni. Il Calvario, quindi, andava abbattuto.

Così,quando la gente di Racalmuto non vide più le Croci, uscì per strada, con i bambini,   e tutti andarono,  tutti,  alla Matrice a si riprendersi le Croci. 

Con l’aiuto dell’arciprete, don Ignazio Tirone, nove muratori le ripiantarono sulla collina. Dopodiché in trecento rimasero lì a difendere quelle Croci. E ci misero pure due bandiere nere per significare sicuro pericolo di morte per chi si fosse avvicinato.
Si avvicinò il Sindaco e venne a rassicurare che le Croci sarebbero state sistemate altrove e a spese del Comune. Ma non vi fu verso: la gente diceva che erano secoli che il Calvario era lì perché quello era un posto miracoloso e un altro non andava bene. Tante volte nei tempi di siccità erano andati lì a pregare e sempre poi era tornata la pioggia salutare che Dio mandava dopo quelle preghiere.

Il Sindaco allora telegrafò al prefetto di Girgenti e quello diede disposizione perché la forza pubblica intervenisse a sgombrare il Calvario e a far rispettare la legge e l’autorità.

Il giorno dopo, cioè il nove aprile del 1881, la gente di Racalmuto accolse a sassate le guardie e i soldati della 27° fanteria, arrivati da Girgenti,.
Ma il secondo giorno ( dopo che anche la notte la gente era rimasta a presidiare il Calvario),  quando il delegato di P.S. Russo arrivò con alcuni soldati per abbattere le croci abusive,  ecco cosa avvenne, secondo il verbale dei Carabinieri che abbiamo trovato all’archivio di Stato di Agrigento: “ oltre a trecento cinquanta persone stavano in vicinanza della Chiesa del Carmine. Improvvisamente con grida e gettando dei sassi cercarono avanzarsi e due colpi d’arma da fuoco credesi di revolver o pistola, partirono contro il maresciallo Cesarini perché coraggiosamente opponevasi.

Una palla rasentò il viso del maresciallo che visto il pericolo grida per avere rinforzi ed intanto, ripugnandogli di far uso delle armi, cercare con gesti e con fermo contegno trattenere quegli sconsigliati…

I colpi continuarono intanto da parte dei rivoltosi e per ordine del sottotenente sig. Bertoglio qualcuno della forza sparò in aria la propria arma, ma la folla fanatica avanzava sempre più” (archivio di stato di Agrigento inventario 28 fascicolo 77). Ma dalla folla partirono altri colpi ( se ne contarono una quindicina) e allora la forza pubblica per legittima difesa rispose al fuoco. Due giovani caddero e allora “ vi fu chi fuggiva impaurito e chi tentava di attaccare la folla alle spalle, mentre altri urlavano eccitando i compagni alla resistenza”, mentre la forza di polizia faceva 13 arresti. La folla sgombrò la collina e nessuno più si vide attorno alle tre Croci.
 
Quel mattino di fuoco si concluse con due feriti gravi, tra i rivoltosi ( Di Giglio Salvatore, di anni 20, zolfataro; Alfano Gaetano, di anni 24, contadino), mentre le forze dell’ordine rimasero illesi.

Seguì nelle ore seguenti per tutto il paese una pace surreale, mentre i soldati continuavano a cercare nelle case gli indagati e partivano per le carceri di Girgenti i primi arrestati.
Il mattino dopo le Croci non c’erano più sulla collina del Calvario. Al loro posto sventolava il tricolore. La patria era salva. I soldati ebbero la gratifica. L’arciprete venne trasferito.
Molti imputati, lasciarono le carceri e  tornarono a casa perché le prove contro di loro non si ritennero sufficienti. Altri ebbero lievi condanne.

Le croci vennero portate alla Chiesa del Carmine e alla Chiesa della Madonna del Monte. Pochi giorni dopo il tumulto, si fecero le funzioni della Settimana Santa e la gente portò le tre grandi croci in processione. L’anno dopo il nuovo calvario venne ricostruito in un altro posto, poco fuori il paese. A Racalmuto si ebbe un anno di siccità.
 
Elio Di Bella (Agrigentoierieoggi)

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