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"Provocò la morte dell'amico ma non guidava drogato", condannato

Il gup infligge due anni e due mesi di reclusione al venticinquenne Alfonso Amodeo

Due anni e due mesi di reclusione per omicidio stradale e lesioni personali colpose ma non c’è la prova che l’automobilista guidasse drogato. La sentenza del giudice dell’udienza preliminare Alessandra Vella si avvicina molto alla richiesta formulata dal pubblico ministero Antonella Pandolfi che aveva escluso un’aggravante che, nel caso in cui, invece, fosse stata riconosciuta, avrebbe portato a una condanna fino a dieci anni di carcere.

La pena, tuttavia, è sopra la soglia dei due anni di reclusione entro la quale il giovane imputato avrebbe beneficiato della sospensione condizionale. Il processo, celebrato con rito abbreviato, era quello per la morte del ventitreenne di Raffadali Salvatore Lombardo. Secondo la Procura, il ragazzino morì per colpa dell’amico, Alfonso Amodeo, 25 anni, di Raffadali. Il pm Silvia Baldi, trasferita nei mesi scorsi, aveva chiesto il rinvio a giudizio contestandogli l’aggravante di avere guidato la Fiat Punto, a bordo della quale si trovavano insieme a un terzo ragazzo, “in stato di alterazione dovuto all’assunzione di droghe leggere”. All’udienza precedente il pm Antonella Pandolfi, nel corso della requisitoria, aveva invece escluso questa aggravante tanto che la pena chiesta era di appena due anni di reclusione. 

La difesa dell’imputato – affidata agli avvocati Davide Casà e Antonella Iacono Manno – aveva chiesto il giudizio abbreviato con la condizione di sentire il medico legale Nunzia Albano per avere alcuni chiarimenti. Il giudice, in considerazione del fatto che il giudizio abbreviato esclude nuove prove, ha rigettato la richiesta. I difensori, che avevano chiesto l’assoluzione ritenendo che la dinamica dell’incidente non fosse affatto certa, hanno comunque fatto riferimento alla consulenza medico legale che proverebbe, secondo il loro punto di vista, che il ragazzo non si sia messo al volante dell’auto dopo avere fumato droghe leggere. 

Il riconoscimento dell’aggravante - sollecitato invece dai difensori di parte civile, gli avvocati Giuseppe Barba e Salvatore La Longa - avrebbe fatto aumentare la pena di quattro o cinque volte. 

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