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Cronaca Lampedusa e Linosa

Mamme tunisine in Procura alla ricerca dei cadaveri dei figli: Dna consente di ritrovare 2 salme

C'è stato anche chi dei familiari - questi sono i racconti fatti al procuratore aggiunto Salvatore Vella -  è riuscito a mettersi in contatto con il figlio che si era imbarcato sul barcone. Il giovane però piangeva, la "carretta" aveva iniziato a riempirsi d'acqua e il ragazzo ha riferito al padre che stavano per affogare 

Due mamme sono riuscite a ritrovare i cadaveri dei loro figli: sono sepolti al cimitero di Caltanissetta. Altre due, invece, nonostante abbiano acquisito la certezza - grazie ad un video, realizzato da una giovane tunisina, mostrato loro - che i loro figli fossero sul barcone, partito da Sfax, naufragato all'inizio di ottobre, non hanno potuto rintracciare le salme. I cadaveri verosimilmente sono rimasti in fondo al mare. Strazio, disperazione e dolore si sono materializzati venerdì scorso al quinto piano del palazzo di giustizia di Agrigento dove il procuratore aggiunto Salvatore Vella e il pm Cecilia Baravelli hanno accolto e ascoltato quattro mamme tunisine.  

L'inchiesta sul naufragio, il Pm: "Viaggio anomalo, partiti dalla Libia hanno fatto sosta in Tunisia"

Quattro mamme che, attraverso l'associazione che raccoglie 540 famiglie che hanno avuto morto in mare e aiutate dal Consolato, sono riuscite ad arrivare ad Agrigento. Le donne abitano tutte in paesi limitrofi a Sfax, qualcuna di loro non sapeva neanche che il loro figlio fosse riuscito a salire su quel barcone e a partire per l'Italia. Avuta la notizia del naufragio e non riuscendo più a trovare i figli, grazie all'associazione delle vittime del mare e al Consolato, è stato realizzato un prelievo del Dna - dalla polizia scientifica tunisina - e un incrocio con il Dna che la Procura fa acquisire, provando ad identificare i cadaveri, da ogni vittima del naufragio. Venerdì le quattro mamme sono state, appunto, in Procura ad Agrigento. Accanto al procuratore aggiunto Salvatore Vella, il personale di Medici senza frontiera e 4 studentesse, le migliori, del corso universitario di Mediazione culturale assieme a 2 tutor. L'audizione delle mamme è stata devastante. Hanno fatto conoscere concretamente la realtà di quei giovani tunisini che, anche se in Patria hanno di che vivere, non sognano altro che l'Italia. Ragazzi che sono pronti a mettersi in viaggio - rischiando di morire - pur di giungere in un Paese che credono sia veramente l'Eldorado.

Una delle quattro mamme - tutte sono rappresentate dall'avvocato Marino e sono, naturalmente, le persone offese del procedimento - credeva che il figlio, quella sera, fosse al bar con gli amici. Non sapeva che invece s'era imbarcato su quel barcone che, partito dalla Libia, ha fatto sosta in Tunisia. La notte, il giovane non è tornato a casa e i familiari, terrorizzati, lo hanno cercato fino a quando hanno appreso che s'era imbarcato. Ma quella "carretta" è poi naufragata. C'è stato anche chi dei familiari - questi sono i racconti delle mamme fatti al procuratore aggiunto Salvatore Vella e al pm Cecilia Baravelli -  è riuscito, cercando il proprio congiunto, a trovare il numero di cellulare di un altro passeggero e quando, finalmente, s'è messo in contatto con il figlio, il giovane piangeva. La barca aveva iniziato a riempirsi d'acqua e il ragazzo ha riferito al padre che stavano per affogare. 

Una delle quattro mamme giunte ad Agrigento era convinta d'aver riconosciuto il figlio in una delle foto - realizzate dalla Capitaneria di porto - che ritrae il cadavere di un giovane con il volto in fondo al mare. Aveva riconosciuto quell'abbigliamento. Sapeva, quindi, che il figlio non ce l'aveva fatta. Ignorava però che quella salma non è mai stata recuperata dai sommozzatori e che è rimasta a circa 60 metri di profondità. La donna, sconvolta, s'è inginocchiata davanti al procuratore aggiunto: "Voglio mio figlio! Ridatemi il corpo di mio figlio". Scene di strazio, reazioni disperate. La mamma s'è anche sentita male, è svenuta ed è stata portata, con un'autoambulanza del 118, in ospedale. 

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I quattro giovani che le mamme tunisine erano venute a cercare e ad identificare, sperando magari anche di scoprire che qualcuno di loro fosse ancora in vita, hanno un'età compresa fra 18 e 32 anni. Aveva 24 anni il giovane che s'è allontanato da casa senza dire niente ai genitori. "Lavoriamo i campi, lavoriamo tutti. Nulla ci mancava a casa" - ha detto la mamma al procuratore aggiunto Vella - . Il giovane voleva forse soltanto girare il mondo. Ma assieme a Fheker Hamidi, su quel barcone c'era anche Lazar Chaieb, 32 anni, sposato e con una figlia di quattro anni, che voleva raggiungere l'Italia per curarsi. "Da quattro anni aveva un tumore - ha spiegato la madre, anche lei in lacrime -, ma il Consolato italiano due anni fa gli aveva negato il visto per motivi di salute. E così lui ha tentato di raggiungere l'Italia con un barcone dopo essersi attaccato all'addome, dentro una busta di plastica e con il nastro
adesivo, le cartelle cliniche che documentavano il suo stato".

Le quattro donne stamane hanno incontrato in Municipio il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, accompagnate dalla rappresentante tunisina nella consulta delle Culture, al quale hanno raccontato le storie dei loro figli. Orlando ha consegnato alle quattro donne la Carta di Palermo sui diritti alla mobilità dei migranti.

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