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Cronaca

Morì per trasfusione di sangue infetto, risarcimento milionario per i familiari

La donna era stata ricoverata negli anni Settanta all'ospedale San Giovanni di Dio e ha contratto l'epatite C

Muore di epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto e i figli ottengono un risarcimento dallo Stato che sfiora il milione di euro. Nel 1973, all’età di appena venti anni, durante un ricovero all’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, una giovane donna - A.V. sono le iniziali - veniva sottoposta ad una trasfusione di sangue poi rivelatosi infetto da virus dell’epatite C. Nel corso degli anni la malattia, in un primo momento silente, si è manifestata con tutta la sua virulenza provocando prima la comparsa di cirrosi epatica e poi un tumore multifocale al fegato. Dopo diversi anni di sofferenza, scanditi da continui ricoveri ospedalieri anche fuori sede, l’agrigentina, nel 2014, è morta proprio a causa del cancro al fegato.

Il marito e i tre figli hanno quindi intrapreso davanti al tribunale di Palermo, con l’assistenza degli avvocati Angelo Farruggia e Annalisa Russello del foro di Agrigento, una causa civile contro il ministero della Salute, ritenuto responsabile di avere favorito, “con l’omissione dei controlli già all’epoca previsti dalla legge in materia di raccolta, distribuzione e somministrazione di sangue, una vera e propria epidemia colposa per la diffusione del virus dell’epatite C”, che solo in Italia conta circa due milioni di contagiati quasi tutti risalenti a quegli anni.

Nell’ambito della causa civile promossa dagli eredi della donna agrigentina, il ministero della Salute, assistito dall’avvocatura di Stato, si è difeso sostenendo che “all’epoca in cui fu effettuata la somministrazione di sangue (vale a dire il 1973) il rischio di contagio da Hcv non era prevedibile, non risultando ancora classificato il virus, quindi evitabile, e che in ogni caso la trasfusione era stata effettuata in emergenza e per salvare la vita al paziente”.

Di contrario avviso sono stati, invece, i giudici della terza sezione civile del tribunale di Palermo che - con sentenza del 3 gennaio - ritenendo provata la responsabilità del ministero della Salute per la morte della donna, derivante dal contagio del virus, “integrante in astratto il reato di omicidio colposo”, accogliendo la richiesta degli avvocati Angelo Farruggia e Annalisa Russello, hanno invece sostenuto che “il contagio sarebbe stato evitabile mediante l’adozione delle cautele già suggerite dalla comunità scientifica dell’epoca”. Il ministero della Salute è stato, quindi, condannato a risarcire i familiari con la somma complessiva di 980.000 euro da ripartirsi tra gli eredi.
 

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