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Mafia Sciacca

Blitz "Passepartout", 5 fermati: ci sono anche un capomafia e un collaboratore parlamentare

Il Gico della Guardia di finanza di Palermo e Sciacca e i carabinieri del Ros e del comando provinciale hanno eseguito i provvedimenti disposti dalla Direzione distrettuale antimafia

Ci sono anche un collaboratore parlamentare e il presunto capomafia di Sciacca Accursio Dimino, fra i cinque fermati all'alba dal Gico della Guardia di finanza di Palermo e Sciacca e dai carabinieri del Ros e da quelli del comando provinciale di Agrigento. Fermo che - per l'accusa di associazione mafiosa - è stato disposto dalla Direzione distrettuale antimafia con in testa il procuratore Francesco Lo Voi, l’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Geri Ferrara e Francesca Dessì. Le 5 persone fermate - nell'ambito dell'operazione denominata "Passepartout" - sono ritenute appartenenti o comunque contigue alla famiglia mafiosa di Sciacca.

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Sono ancora in corso decine di perquisizioni su tutto il territorio di Sciacca che vedono impiegati oltre 100 finanzieri e carabinieri, supportati da mezzi aerei e unità cinofile. Le perquisizioni stanno riguardando abitazioni, uffici, aziende e negozi nella disponibilità degli indagati. Parallelamente all’esecuzione dei fermi, i militari hanno proceduto a sequestrare agli indagati disponibilità finanziarie - tra le quali una carta di credito collegata a conti esteri - e patrimoniali, tra cui un’imbarcazione. "Gli indagati - ricostruiscono dal comando provinciale dell'Arma e dalla Guardia di finanza di Agrigento - disponevano, anche per interposta persona, di beni e altre utilità in valore sproporzionato al reddito da loro dichiarato".

Fra i fermati Dimino e Nicosia: ecco chi sono

Il collaboratore parlamentare fermato è un insospettabile: Antonello Nicosia, 48 anni, originario di Sciacca. All'uomo, che ha accompagnato una deputata di Leu (che non risulta iscritta nel registro degli indagati) in ispezioni nelle carceri siciliane, sarebbero stati affidati da dei boss - stando all'accusa - dei messaggi da recapitare all'esterno. Nicosia conduceva un programma in tv su giustizia e carcere: “Mezz’ora d’aria” ed era il direttore dell’Osservatorio internazionale dei diritti umani Onlus e componente del comitato nazionale dei Radicali italiani. 

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Fra i fermati anche il presunto capomafia Accursio Dimino, 61 anni, imprenditore ittico ed ex professore di educazione fisica, da sempre legatissimo al "capo dei capi" Matteo Messina Denaro. A quanto pare, stando all'accusa, Dimino si sarebbe incontrato più volte con il collaboratore parlamentare: verosimilmente - secondo la Dda di Palermo - per pianificare degli affari. Fra i fermati anche Paolo e Luigi Ciaccio, entrambi di 33 anni, e Massimiliano Mandracchia du 46 anni.

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L'inchiesta su "Matiseddu"

Le complesse indagini hanno evidenziato come i cinque fermati, seppur in un momento di assoluta difficoltà della cosca saccense, abbiano continuato - stando all'accusa - a reiterare il controllo del territorio tipico del fenomeno mafioso. E' tornata ad emergere la figura di Accursio Dimino, detto "Matiseddu", già condannato per associazione mafiosa. Per Cosa Nostra, nel corso del tempo, è stato - scrivono carabinieri e Guardia di finanza - "reclutatore di nuovi adepti, assoluto interprete nell’acquisizione di attività economiche ed appalti di opere pubbliche nel settore edile e turistico-alberghiero, per assumere, nel primo decennio degli anni 2000, il ruolo di capo della famiglia mafiosa di Sciacca". Dimino, negli anni ’90, per conto della famiglia di Sciacca ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo di dinamiche associative ultra-provinciali, mantenendo contatti e veicolando “pizzini” con i corleonesi, in particolare con Salvatore Riina e Giovanni Brusca. In quegli anni, le attività investigative avrebbero accertato i contatti con il super latitante Matteo Messina Denaro. A partire dalla sua scarcerazione, sono stati documentati i rapporti intrattenuti da Dimino con soggetti mafiosi operanti nel territorio di Sciacca, di Castellammare del Golfo e con taluni personaggi ritenuti contigui alla famiglia mafiosa Gambino di New York. Dimino si è in particolare relazionato - prosegue la ricostruzione ufficiale degli investigatori - con un soggetto con cui aveva pianificato un’attività criminale che non è stata portata a compimento a causa dell’improvviso omicidio – avvenuto a New York lo scorso 13 marzo – di Frank Calì (alias FrankieBoy), esponente di spicco della citata famiglia mafiosa italo-americana, evento questo immediatamente comunicato in Sicilia dagli Stati Uniti.

Le accuse

Fra i fatti contestati a Dimino, nel provvedimento emesso dalla Dda di Palermo, vi sono le pressioni su imprenditori locali per consentire a imprese riconducibili a propri sodali di ottenere appalti, l’attività di recupero crediti a beneficio di soggetti legati a uomini d’onore, propositi di danneggiamenti e altre attività criminali nei confronti di diversi soggetti per finalità estorsive. Alcuni colloqui captati nel corso delle indagini svelerebbero inoltre come Dimino abbia rappresentato, in passato, l’ala più dura della famiglia di appartenenza, facendo parte del cosiddetto “triumvirato”, lo storico gruppo di fuoco operante negli anni ‘90 a Sciacca.

Investigazioni su Nicosia 

Nell’ambito delle indagini è emersa la figura di Antonio Nicosia, conosciuto come Antonello, esponente di rilievo dei Radicali italiani, pure lui destinatario del provvedimento di fermo in quanto - ricostruisce l'accusa - ritenuto organico alla famiglia mafiosa saccense. Nicosia era stato condannato, in via definitiva, alla pena di anni 10 e mesi 6 di reclusione per partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed era stato scarcerato da ormai oltre 10 anni. Gli approfondimenti investigativi effettuati nei suoi confronti hanno - scrivono dal comando provinciale dell'Arma di Agrigento - consentito di documentare: "il pieno inserimento di Nicosia nel contesto mafioso saccense, emerso con evidenza anche dalle conversazioni tra l’indagato e l’uomo d’onore Accursio Dimino; la richiesta finalizzata alla consumazione di eventi delittuosi cruenti in danno di proprio debitore rivolta da Nicosia a un soggetto gravitante nel panorama mafioso saccense che prontamente la accoglieva limitandosi a volerne decidere le modalità e i tempi di attuazione; una riservata riunione effettuata a febbraio del 2019 a Porto Empedocle tra Nicosia e due pregiudicati per partecipazione ad associazione mafiosa di cui uno fidato sodale del boss Matteo Messina Denaro, nel corso del quale i tre affrontavano alcuni argomenti di rilevante interesse investigativo chiamando in causa direttamente il latitante al quale doveva essere destinata una somma di denaro che gli interlocutori si stavano prodigando a recuperare; l’uso strumentale del rapporto di collaborazione instaurato da Nicosia con una parlamentare della Repubblica Italiana, rapporto utilizzato per un periodo dall’indagato per accedere all’interno di diverse carceri del territorio nazionale ed avere contatti anche con altri esponenti reclusi di Cosa Nostra". Sempre a carico di Nicosia, le investigazioni hanno permesso di documentare: "l’impegno profuso da Nicosia per la realizzazione di un non meglio delineato progetto che, afferente il settore carcerario, interessava direttamente il latitante Messina Denaro da cui l’indagato, per l’opera svolta, si aspettava di ricevere un ingente finanziamento non ritenendo sufficienti i ringraziamenti che asseriva di avere ricevuto dallo stesso ricercato". Le attività d’indagine svolte nei confronti di Nicosia hanno quindi permesso di acquisire elementi in merito alla sostanziale affiliazione di quest’ultimo all’organizzazione mafiosa saccense - scrivono dal comando provinciale dell'Arma e dalla Guardia di finanza di Agrigento - e alla sua contiguità all’omologa realtà castelvetranese, sodalizi in favore dei quali Nicosia ha fornito un contributo rilevante anche sfruttando la propria posizione pseudo-istituzionale e il connesso qualificato circuito relazionale. 

Le accuse su Nicosia 

"Nicosia si è adoperato per favorire alcuni detenuti rientranti nel circuito del latitante Matteo Messina Denaro tra cui Filippo Guttadauro Filippo (cognato del latitante, attualmente internato in misura di sicurezza - casa lavoro presso la casa circondariale di Tolmezzo e ancora sottoposto al regime detentivo del 41 bis); nella prima puntata del suo programma televisivo e via web “Mezz’ora d’aria”, titolata Misure di sicurezza - il caso Tolmezzo e trasmessa da una emittente locale, ha intervistato un avvocato con cui si soffermava a disquisire in ordine ad un’asserita anticostituzionalità della procedura di applicazione delle misure di sicurezza (fenomeno dei cosiddetti “ergastoli bianchi”) conriguardo agli internati sottoposti all’art 41 bis della casa circondariale di Tolmezzo (dove si trova ristretto Filippo Guttauro); sfruttando la possibilità che aveva di accedere all’interno delle carceri, si proponeva di veicolare messaggi tra soggetti liberi (a vario titolo contigui al contesto mafioso siciliano) e detenuti già condannati in via definitiva per partecipazione ad associazione mafiosa". Nicosia ha partecipato ad alcune ispezioni carcerarie parlamentari e ha sicuramente fatto accesso - concludono dal comando provinciale dell'Arma di Agrigento - all’interno delle carceri di Sciacca, Agrigento, Trapani e Tolmezzo senza la preventiva autorizzazione del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e ciò sfruttando le prerogative riconosciute dalle norme sull’ordinamento carcerario ai membri del Parlamento e a coloro che li accompagnano.

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