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Mafia Palma di Montechiaro

Accusata dell'omicidio del cognato insieme al figlio, il pg: "Madre spietata, va condannata a 21 anni"

Il magistrato Rosalia Cammà non ha dubbi: "Ha partecipato all'uccisione, non è stata solo un'idea del ragazzino"

"E' stata una madre spietata, ha ucciso il cognato insieme al figlio". Parole durissime del sostituto procuratore generale di Palermo, Rosalia Cammà, che ha chiesto la condanna a 21 anni di carcere per Giuseppina Ribisi, 46 anni, di Palma di Montechiaro, accusata di avere ucciso insieme al figlio, all’epoca minorenne, il cognato Damiano Caravotta, 26 anni, fratello del marito, freddato a colpi di pistola dopo un litigio nel pianerottolo dell’abitazione.

I giudici della Corte di assise di appello, dopo che la Cassazione ha annullato con rinvio la precedente condanna, potrebbero emettere la sentenza il 26 febbraio, dopo l'arringa dell'avvocato della difesa Giovanni Castronovo. Il legale, all'udienza precedente, aveva chiesto un sopralluogo all’americana sul luogo dell’omicidio "per comprendere di presenza se la dinamica ricostruita processualmente può essere compatibile con quella reale, tenendo conto che l’imputata è alta 150 centimetri e la vittima era un metro e novanta centimetri”, oltre all’audizione di un testimone oculare (la moglie del ragazzo ucciso) che ha descritto una “complicità di sguardi e azioni fra l’imputata e il figlio” che la Cassazione vuole approfondire. I giudici, oggi, hanno rigettato le richieste e dato la parola al pg per la requisitoria. 

La Cassazione, un anno e mezzo fa, aveva annullato l’intera sentenza con rinvio disponendo un nuovo giudizio. A sollecitare questo verdetto era stato lo stesso procuratore generale Francesco Iacoviello che aveva recepito parte del ricorso del difensore, l’avvocato Giovanni Castronovo, parlando, con riferimento alla condotta del ragazzo e della madre che avrebbe colpito il cognato con un bastone, di “due azioni distinte che non possono integrare una condotta di omicidio e che vanno valutate con maggiore attenzione”. 

A sparare materialmente, secondo quanto ha ricostruito il processo, è stato il figlio della donna, all’epoca, l’11 maggio del 2011, sedicenne. Il ragazzo ha confessato l’omicidio, che sarebbe stato dettato da banali contrasti economici (i suoceri, secondo la Ribisi, avrebbero sostenuto economicamente il cognato Damiano e non la sua famiglia), facendo ritrovare anche l’arma. Lui stesso aveva detto, pur spiegando che i colpi erano partiti accidentalmente e che non aveva intenzione di ucciderlo, di avere fatto tutto da solo, sparando allo zio mentre la madre teneva in mano una mazza da baseball e lo picchiava. L’omicidio è avvenuto nel pianerottolo dell’abitazione della Ribisi.

La difesa ha sempre sostenuto che "l’azione dell’imputata è stata del tutto slegata da quella del figlio di cui la donna era inconsapevole. Addirittura è emerso che, per poco, lei stessa non restava uccisa visto che il giubbotto ha subito una bruciatura da proiettile”. 

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