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Venerdì, 29 Marzo 2024
Mafia Camastra

Mafia e racket dei funerali, il giallo dell'intercettazione usata dai giudici: slitta la requisitoria

La difesa sostiene che è stata utilizzata sebbene non trascritta per condannare gli imputati, citato in aula il perito

Il perito che ha trascritto le intercettazioni dell'inchiesta sarà sentito in aula al processo di appello e chiarirà se quella conversazione fra il boss Rosario Meli e il presunto cassiere della famiglia di Camastra, Vincenzo Piombo, in cui si parlerebbe proprio di spartizione di soldi, è stata versata agli atti del dibattimento oppure è stata utilizzata per sbaglio dai giudici di primo grado.

La richiesta di chiarimento sul punto, presentata dall'avvocato Santo Lucia, difensore di Meli, allunga i tempi e fa slittare la requisitoria del processo scaturito dall'inchiesta antimafia "Vultur" che ha fatto luce sui presunti componenti delle famiglie di Camastra e Canicattì. 

I giudici del tribunale di Agrigento, in primo grado, il 22 novembre del 2018, hanno inflitto 17 anni e 6 mesi di reclusione a Rosario Meli, 70 anni, ritenuto il capo della famiglia di Camastra; 14 anni e 6 mesi al figlio Vincenzo, accusato di avere gestito gli affari della famiglia di Cosa Nostra in paese e 13 anni e 6 mesi al tabaccaio di Camastra Calogero Piombo, 67 anni, ritenuto il "cassiere" della cosca. Ventidue anni, in continuazione con altre due condanne precedenti, sono stati inflitti a Calogero Di Caro, 72 anni, vecchio boss di Canicattì, tornato in attività - sostiene l’accusa - dopo avere scontato una precedente condanna. I difensori (fanno parte del collegio difensivo pure gli avvocati Angela Porcello, Raffaele Bonsignore, Giuseppe Barba, Antonino Reina, Vincenzo Domenico D’Ascola e Lillo Fiorello) hanno impugnato la sentenza.

Nei mesi scorsi c'era stata la prima parziale riapertura istruttoria. L'imprenditore Bruno Forti, presunta vittima di estorsione da parte di alcuni degli imputati, rispondendo alla difesa degli stessi, aveva negato di essersi messo d'accordo con i coniugi Vincenzo De Marco e Irene Casuccio, per accusare il boss Rosario Meli che, secondo quanto avrebbe accertato il processo di primo grado, li avrebbe costretti a pagare il pizzo per ognuno dei funerali che avevano organizzato con la loro agenzia. 

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