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Mafia, «Solo un'impresa su 13 denuncia il pizzo ad Agrigento»

Un muro di omertà e di paura ha costretto gli investigatori a chiamare uno per uno gli imprenditori taglieggiati per trovare il riscontro dei reati. C’è chi ha negato e chi, invece, ha raccontato fatti ed episodi dettagliati

Tredici imprese taglieggiate dagli uomini di Cosa nostra e soltanto una di queste denuncia i tentativi di estorsione.
E’ il quadro che emerge dall’indagine “Icaro” della squadra Mobile di Agrigento, che la scorsa notte ha portato all’arresto di 9 persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e traffico di stupefacenti.

I poliziotti, diretti dal commissario capo Giovanni Minardi, hanno pedinato, intercettato e fotografato per intere settimane i nuovi volti della criminalità organizzata agrigentina. Sono riusciti a ricostruire diversi episodi di estorsioni ai danni di imprese che lavoravano nell’Agrigentino, ma non hanno ricevuto alcuna segnalazione o denuncia dalle vittime del racket.

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Un muro di omertà e di paura che ha costretto gli investigatori a chiamare uno per uno gli imprenditori taglieggiati per trovare il riscontro dei reati. C’è chi ha negato e chi, invece, ha raccontato fatti ed episodi dettagliati.

Significativa, ad esempio, la vicenda legata ai trasporti da e per Lampedusa: Francesco Capizzi, ritenuto dagli investigatori ai vertici della famiglia mafiosa di Porto Empedocle, avrebbe minacciato i commercianti dell'isola di Lampedusa che utilizzavano altre ditte e non quella in cui lui stesso era impiegato, la "Mnr Trasporti".

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Ed ancora, le estorsioni alle ditte che avevano iniziato i lavori per il rigassificatore di Porto Empedocle: gli uomini della famiglia empedoclina, avrebbero chiesto il pizzo e forse anche delle assunzioni, ad un’impresa di Casteltermini che per circa 300mila euro stava predisponendo il cantiere per la costruzione dell’impianto di rigassificazione.

Avrebbe anche messo le mani su un appalto da 1 milione e 300 mila euro del Comune di Porto Empedocle vinto da una ditta di Gangi (Palermo) per il rifacimento della pavimentazione della banchina del molo. In questo caso, però, essendo un ditta del Palermitano, il capo mandamento di Agrigento, Antonino Iacono (detto ‘U giardinisi) ha incontrato nella sua casa di campagna in contrada Fauma, a Porto Empedocle, tre pregiudicati di Palermo, alcuni dei quali appartenenti alla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio: la “messa a posto” è stata, quindi, concordata tra le due cosche siciliane, confermando il forte legame tra la mafia agrigentina e quella palermitana.
 

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