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Mafia Camastra

"Racket mafioso dei funerali", riprende processo dopo l'attentato al teste

In aula è stato ascoltato il figlio di Bruno Forti, l'imprenditore al quale nei giorni scorsi è stata bruciata l'auto

“Mio padre mi disse che subiva dei ricatti ma io in maniera diretta non ne ho mai saputo nulla”. Calogero Forti, figlio di Bruno, il titolare dell’agenzia di onoranze funebri al quale nei giorni scorsi stata bruciata l’auto, ha deposto in aula al processo scaturito dall’inchiesta “Vultur” che ricostruisce alcune vicende mafiose fra Camastra e Canicattì.

Sul banco degli imputati, davanti al collegio di giudici presieduto da Luisa Turco, siedono Rosario Meli, 69 anni, di Camastra; il figlio Vincenzo Meli, 46 anni, di Camastra; Calogero Piombo, 65 anni, di Camastra; e Calogero Di Caro, 70 anni, di Canicattì. Le accuse ipotizzate sono di associazione mafiosa ed estorsione.

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La Dda, in particolare, ipotizza che Meli abbia vessato Bruno e il suo socio cercando di imporgli il pizzo per ogni funerale. Ieri, nell’aula bunker del carcere Petrusa, sono stati ascoltati quattro testi citati dal pm Maria Teresa Maligno, fra cui il figlio di Forti che ha spiegato di “non avere una conoscenza diretta” delle intimidazioni subite dal padre. 

Ieri sono stati ascoltati anche altri due testi. Uno è Giuseppe Rappazzo, il titolare di un chiosco che ha spiegato “di avere praticato sempre degli sconti ai Meli perché erano rispettati”. Al tempo stesso, però, rispondendo a una domanda dell’avvocato Santo Lucia, ha aggiunto che “Vincenzo Meli (che di lavoro fa l’operaio edile) in una circostanza mi realizzò una tettoia in uno stabile di mia proprietà e non si fece pagare per ricambiare la cortesia”.

Un altro episodio che denoterebbe lo spessore criminale di Rosario Meli, già coinvolto in altre vicende di mafia, è stato raccontato da Francesco Morgana. “Con la mia auto provocai un incidente scontrandomi con la vettura della figlia di Meli che scese da casa e mi aggredì”. Il pm gli chiede il perché della mancata denuncia. “Avevo torto, non lo feci per timore”, si è giustificato.

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