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Cronaca Favara

La droga arrivava da Comiso, San Cataldo e perfino dalla Calabria: i guadagni servivano per aiutare i detenuti

Secondo l'inchiesta, Giuseppe Quaranta si sarebbe occupato del rifornimento dello stupefacente

Cocaina, hashish e marijuana. E i ricavi dello spaccio servivano ed erano destinati a far fronte alle esigenze degli appartenenti a Cosa Nostra, su tutte le necessità economiche delle famiglie dei sodali in carcere. Ha fatto emergere anche questo l’inchiesta antimafia denominata “Montagna” dei carabinieri del reparto Operativo del comando provinciale di Agrigento e dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia.

Fra gli indagati – secondo quanto emerge dalle pagine dell’ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palermo – emerge il presunto ruolo del favarese cinquantenne Giuseppe Quaranta “quale esponente della famiglia mafiosa di Favara e rappresentante pro tempore della famiglia mafiosa di Santa Elisabetta, che – scrive la Dda – ha rivestito il ruolo di direttore e promotore dell’organizzazione occupandosi, in prima persona, dell’attività di reperimento della sostanza stupefacente attingendo, tra gli altri, a tre canali di approvvigionamento rappresentati dai seguenti fornitori: esponenti della famiglia mafiosa di Comiso, esponenti della criminalità organizzata calabrese ed esponenti della famiglia mafiosa di San Cataldo”.

Stando alle accuse formulate nell’inchiesta, il favarese avrebbe “diretto e gestito la successiva attività di distribuzione della sostanza stupefacente tra i singoli sodali che egli – scrivono i magistrati – selezionava e a cui affidava il compito della distribuzione finale ai consumatori”.

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